Per credere alla favola di "Fabbrica Italia" raccontata dal manager col maglioncino, Sergio Marchionne, un paio di anni fa bisognava essere molto ingenui, come forse è stato qualche sindacalista, o molto in malafede come sicuramente erano tutti gli esponenti politici che ne tessevano le lodi, soprattutto quelli del Pd (un po' tutti, da Fassino a Renzi, da D'Alema a Chiamparino). Perché già due anni fa era chiaro a tutti che la Fiat dall'Italia se ne sarebbe lentamente andata, a cercare fortuna altrove, scommettendo su Stati Uniti e paesi dell'ex terzo mondo in ascesa, come il Brasile.
Oggi, che cala il sipario sui quei venti miliardi di investimenti promessi (e per abboccare bisognava proprio assomigliare al turista americano al quale Totò vende la Fontana di Trevi) fa rabbividire il confronto in edicola fra la Repubblica, che fa parlare il manager (l'unica notizia che ci dà è che non compra più le Tod's dopo che Della Valle gli ha fatto il contropelo) e il Fatto Quotidiano che ci racconta dove andrà a finire la produzione Fiat (in Serbia, dove pagano gli operai 350 euro al mese per 40 ore di lavoro settimanali più un po' di straordinari gratis se lo chiede il capo).
Il bello è che in Serbia per ora producono solo la 500 L e non riescono a venderla a meno di 14.500 euro, mentre uno dei loro competitor (oh yeah) come la Citroen C3 è ormai scesa sotto i 10 mila.
Ecco, sono questi i manager in Italia.
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