No, i politici non sono tutti uguali. E neanche i partiti. Ci sono quelli che si sforzano non dico di essere onesti (quello sarebbe troppo) ma almeno sinceri e quelli che negherebbero il cattivo tempo anche sotto un uragano caraibico. Ci sono i partiti dove esiste il "dibattito" (lo so, la parola ha un suono orrendo, stile cineforum anni settanta, ma rende l'idea) e quelli dove si fa solo quello che dice il signor padrone. Ma poi, quando li beccano con le dita nel naso, la tentazione di reagire con atteggiamenti un po' mafiosi, sullo stile del lei non sa chi sono io, prende tutti per la gola.
E così se Silvio Berlusconi e i suoi cloni parlanti urlano al "complotto delle toghe rosse", minacciando punitive riforme della magistratura, dall'altra, come oggi ha fatto Bersani, ce la si prende con la "macchina del fango" e se qualche giornale chiede conto delle truffe-truffe-ambiguità consumate all'ombra del Partito Democratico arriva D'Alema e lo accusa di essere "tecnicamente fascista". Non bastassero le parole, si passa ai fatti. Se gli studi legali di Mediaset sparano querele su querele perché tanto hanno una schiera di avvocaticchi a loro servizio, i meno abbienti della sinistra annunciano una "class action". Tutto perché qualcuno osa scrivere che il loro traballante partito ha candidato al Senato un tizio che era indagato per corruzione (e che poi ha probabilmente contribuito a salvare dall'arresto) e perché uno degli uomini della segreteria nazionale faceva il collettore di tangenti in Lombardia. Niente da fare, se gli parli di questione morale prendono d'aceto proprio come il re del bunga-bunga.
Le facce saranno anche diverse, ma lo stile è lo stesso, direi inconfondibile.