Per affermare in Italia il principio dell'obiezione di coscienza ci sono voluti decenni di battaglie che a molte persone sono costate anni di carcere, fino a una legge del 1972 che regolamentò la vicenda consentendo a coloro che non volevano utilizzare le armi di svolgere il servizio civile al posto di quello militare. Ma si è dovuti arrivare al 1998 perché l'obiezione di coscienza venisse considerata un diritto della persona e non una gentile concessione dello Stato.
Oggi che il servizio militare non è più obbligatorio, di obiettori si parla per descrivere il singolare atteggiamento di medici e farmacisti cattolici (?), che si rifiutano di praticare l'interruzione volontaria di gravidanza o di vendere anticoncezionali o pillole del giorno dopo. Il bello però è che, a differenza di coloro che non volevano fare i soldati, questi vogliono continuare a esercitare la loro professione pur imponendo il loro credo religioso senza che ci siano conseguenze giuridiche.
Il medico avrebbe infatti l'obbligo di prestare
comunque assistenza sanitaria se manca un sostituto. Se a una donna non viene
effettuata l'interruzione di gravidanza, il medico rischia la radiazione dall'albo professionale, il licenziamento e l'interessata può chiedere il risarcimento del danno biologico. Ancora peggio l'ostinazione di alcuni farmacisti che si rifiutano di vendere quanto previsto dal servizio sanitario nazionale nelle loro belle boutique dove sono in bella mostra soprattutto cosmetici femminili.
Oggi a completare l'abominio arriva il parere del Comitato Nazionale per la Boetica di Palazzo Chigi, secondo il quale “l’obiezione di coscienza in bioetica è un diritto costituzionalmente
fondato (con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo), costituisce
un'istituzione democratica, in quanto preserva il carattere problematico
delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali senza
vincolarle in modo assoluto al potere delle maggioranze, e va esercitata
in modo sostenibile”.
Non si capisce perché, tuttavia, un medico che non è d'accordo con le leggi sulle prestazioni sanitarie debba continuare a fare il medico, né perché un farmacista debba continuare ad avere una licenza pubblica invece di aprire una profumeria. Come se gli obiettori di un tempo avessero preteso di fare i militari senza armi e coi capelli lunghi. Scegliere di fare un mestiere comporta obblighi ai quali nessuna categoria si può sottrarre, se non pagandone le conseguenze in prima
persona. Ma le cose funzionano diversamente in ambito sanitario e i lavori di questo Comitato, del resto, sono stati "coordinati" dal professor Andrea Nicolussi, docente universitario (ma guarda le coincidenze) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Con tutta la faccia di bronzo di cui come al solito questa gente è maestra, il parere del Comitato si chiude con un pilatesco richiamo a "misure adeguate a garantire l’erogazione dei servizi, con attenzione a
non discriminare né gli obiettori né i non obiettori, e quindi
un’organizzazione delle mansioni e del reclutamento che possa
equilibrare, sulla base dei dati disponibili, obiettori e non".
Ecco, date un'occhiata alle statistiche: sono obiettori il 71 per cento dei ginecologi italiani, l'84 per cento in Campania, più dell'80 in Lazio e in Alto
Adige. Su 316 ginecologi nel Lazio
solo 46 non sono obiettori, e in 9 ospedali pubblici non si fanno
interruzioni di gravidanza, come imporrebbe la legge a tutti gli
ospedali non religiosi. A Roma è rimasto solo il San Camillo, dove su 21 medici ginecologi i non obiettori sono solamente 3, nonostante gli aborti rappresentino il 40 per cento delle
operazioni di ostetricia.
Ah, naturalmente i medici obiettori sono quelli che fanno carriera e moltiplicano i guadagni. Leggetevi questa testimonianza.