Certo che citarle tutte non è possibile, perché dovrei stare al computer fino a domani mattina. Ma il post elezioni ci regala centinaia e centinaia di dichiarazioni da delirio, di gente che sembra ormai del tutto in preda a una crisi di nervi. "Ratti drogati", li definirebbe quel sant'uomo di Muammar Gheddafi, una garanzia di democrazia e libertà, almeno stando alla definizione degli autorevoli esponenti del nostro governo.
E proprio la droga sembra farla da padrona, a cominciare dal nostro canotto preferito, Daniela Santanché, secondo la quale la vittoria di Pisapia "sarebbe come portare il Leonkavallo a Palazzo Marino, sarebbe una cosa bestiale. Sarebbe come portare la droga senza se e senza ma: lui è sempre stato uno che ha detto che gli spinelli non fanno male". Il risultato elettorale di Milano è dovuto ''a una campagna elettorale drogata, così come è drogata la vita politica di ogni giorno", l'ha sparata grossa Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, mentre il coordinatore Denis Verdini, insieme all'amico 'Gnazio La Russa, hanno vinto il premio mutande in faccia per aver sostenuto che quello di Milano è stato "sostanzialmente un pareggio".
"Il Paese evidentemente vuole qualcosa di nuovo: mi pare un messaggio chiarissimo", ha commentato uno dei maitre-a-penser del Pd, Massimo D'Alema, facendo finta di non vedere che lui fa parte del vecchio che il paese non vuole più (i suoi candidati perdono già dalle primarie). "Latina dimostra che il Lazio è il nuovo laboratorio", esulta un patetico Gianni Alemanno, sventolando una vittoria che nell'orrido paese costruito da Mussolini si è rivelata perfino meno scontata del previsto. Ma la palma d'oro va a lui, Francesco Rutelli, che di fronte alla catastrofe dei centristi un po' dappertutto ha avuto il coraggio di consolarsi con il fatto che l'Api "è il terzo partito a Benevento". Minchia.
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