Per diventare miliardari bisogna avere anche una certa attitudine alla taccagneria. Ce lo ricorda tutti giorni il nostro "caro leader", che copre di regali la sua corte di famigli, ma lo fa sempre con accortezza (collanine e gioielli comprati in serie e macchine "chilometro zero" per le papi-girls) oppure decide di scaricare il problema sulla collettività. A parte le fanciulle piazzate alla Camera e nei consigli regionali e comunali, Silvio Berlusconi, che pure è proprietario di tre reti televisive, si fa aiutare dalla Rai, la vacca sacra munta nel corso dei decenni da una lunga serie di politicanti di ogni segno. A parte le nomine e le consulenze gradite e pagate un occhio della testa, fra direttori di testata, di rete e dirigenti aziendali, che però non sono servite a molto perché poi alla fine il pubblico a casa non è del tutto cerebroleso e cambia canale, privilegiando (guarda un po') proprio le trasmissioni che non piacciono al premier, ultimamente c'è stato il caso di Luca Barbareschi, che per il suo addio a Gianfranco Fini è stato ricompensato con la trasmissione in prima serata di un suo film (che ha stablito un record, l'audience più bassa mai registrata su Raitre) e l'acquisto di un pacchetto di fiction prodotte dalla sua società.
E oggi è la volta di Giuliano Ferrara, che già dal mese prossimo tornerà in Rai con una tramissione che andrà in onda dopo il Tg1 delle 20, dal lunedì al venerdì, ovvero lo spazio che prima del celebre editto bulgaro era occupato da Enzo Biagi. E pensare che solo due mesi fa, intervistato dal Giornale, che invece di fargli domande lo sollecitava a scendere in campo a difesa della maggioranza, aveva risposto: "Non ho voglia di tornate in tv, mi piace vivere. Può darsi che la voglia mi torni, ma è e sarà un fatto privato". Poi però si era lasciato andare alla lacrimuccia: "E' il mio terzo Natale senza tv". Roba da favole di Andersen.
Qualcuno, dalle parti di Arcore, deve aver ben pensato di porre fine a questa tragica assenza, ma, ovviamente, il poderoso giornalista non se lo è accollato Mediaset, ma viale Mazzini, e con un colpo di fantasia senza precedenti si è deciso che la trasmissione si chiamerà Radio Londra, lo stesso titolo usato da Ferrara ai tempi di Canale 5 e Italia 1, prima della discesa in campo del Cavaliere.
Ferrara è una tipica maschera della commedia all'italiana. Comunista fino agli anni ottanta, socialista fino alla caduta dell'impero craxiano, berlusconiano fin dagli inizi di Forza Italia (era il suo datore di lavoro) e poi addirittura teocon, lui che aveva fatto il sessantotto e che insieme alla moglie aveva cercato di fare una trasmissione sul sesso, censurata dopo un intervento della Dc proprio su Berlusconi. I suoi detrattori ricordano i fallimenti a catena, dalla disgraziata parentesi come direttore di Panorama, al ruolo avuto nel primo governo del Cavaliere, caduto dopo soli sette mesi, passando per i suoi tentivi elettorali (nel 1997 si presenta per un seggio vacante in Toscana, al Mugello, contro Antonio Di Pietro e prende una batosta mai vista, e nel 2008 si presenta con la lista "Aborto? No Grazie" alle politiche, ottenendo la vertiginosa cifra dello 0,3% dei voti).
Anche fra i suoi più acerrimi nemici c'è chi però non può fare a meno di citare la sua grande intelligenza, che probabilmente avrà modo di mostrare nel privato, visto che le sue ultime apparizioni pubbliche sono sempre state all'insegna dell'insulto gratuito e della tattica dell'alzare la voce per coprire gli interlocutori (e con quel popò di cassa toracica che si ritrova, ha anche gioco facile). Fatto sta, che in un momento di grave difficoltà per il suo mentore, ha deciso di lasciare quel ruolo tranquillo di direttore del Foglio per tornare nell'agone e difendere, a colpi di mutanda, l'onorabilità del padrone contro i "moralisti".
Un uomo a tutto tondo, pronto per nuove battaglie. Naturalmente paga Pantalone.
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