Diciamoci la verità. Dei poveri libici bombardati dall'aviazione solo perché si riuniscono in piazza non ce ne importa molto. Quello che fa tremare le gambe al governo è soprattutto l'ipotesi che sulle nostre coste si riversino migliaia di persone in fuga e la possibilità che le forniture di gas subiscano un duro colpo dalle conseguenze letali. Tutti si ritrovano improvvisamente di fronte alla follia di aver sostenuto per anni un pazzo come Muammar Gheddafi, l'istrionico despota che ha saputo via via convincere Stati Uniti, Italia e Unione Europea a lasciarlo in sella.
Salito al potere nel 1969 con un colpo di Stato incruento, il "Guardiano della Rivoluzione" ha governato per oltre 40 anni facendo lo slalom fra gli inutili paletti imposti dalla comunità internazionale e convincendo alla stregua di un imbonitore di piazza governi di colori e orientamento diversi, che hanno preferito lasciarlo dov'era piuttosto che cancellarlo dalla storia quando sarebbe stato facile e possibile.
I suoi rapporti con la vicina Italia rasentano la schizofrenia. Nei primi anni di dittatura, Gheddafi caccia via in malo modo gli italiani che vivevano in Libia fin dai tempi della colonia, ma già nel 1972 Tripoli dà vita a una società mista con l'Eni e gli italiani non si limitano a fornire solo tecnologia petrolchimica, ma anche uno dei nostri prodotti per i quali siamo famosi nel mondo, le armi. Quattro anni dopo, con un colpo di teatro clamoroso, Gheddafi arriva a salvare la Fiat, comprando il 10% delle azioni del gruppo in un momento di crisi nera. Nel 1978, cioè a soli nove anni dall'ascesa al potere del leader, la comunità italiana in Libia si è già bella che ricostituita e conta su almeno 16 mila persone. Proprio quell'anno, l'allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, si reca a Tripoli in visita per sottoscrivere i nuovi rapporti amichevoli.
Ma l'uomo del deserto guarda più lontano e nel suo delirio di voler rappresentare una sorta di terza via araba al capitalismo e al comunismo, stringe accordi anche con Mosca, felice di procurargli un bel po' di armi. Lì per lì gli Stati Uniti non reagiscoono, anche perché alla Casa Bianca c'è il modesto Gerry Ford, succeduto al dimissionario Nixon e poi sconfitto alle presidenziali da Jimmy Carter. Con i democratici al potere, le tensioni con gli americani cominciano ad aggravarsi e nel luglio del 1980 avviene la tragedia di Ustica, con la versione più attendibile in circolazione che per l'aereo Itavia ipotizza un abbattimento da parte di caccia della Nato che cercavano di colpire un aereo sul quale viaggiava proprio il leader libico.
Con l'arrivo di Ronald Reagan, ansioso di dimostrare la sua fama di cow-boy e di uomo forte, Gheddafi finisce nel mirino anche ufficialmente e l'Italia fra due fuochi. Il 15 aprile del 1986 gli americani bombardano a tappeto la Libia (45 aerei che in 12 minuti sganciano 232 bombe e 48 missili) cercando di eliminare il rais, ma nonostante nell'operazione resti uccisa una delle figlie, Gheddafi si salva grazie a Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, che lo avverte del pericolo. Il rais, forze per sviare i sospetti, lancia due missili Scud contro Lampedusa, che per fortuna hanno una gittata insufficiente e finiscono in mare.
Passata un'altra crisi nel 1988, dopo il terribile attentato di Lockerbie, il peggior atto terroristico della storia prima dell'11 settembre del 2001 attribuito dall'Onu alla Libia, comincia l'incredibile marcia indietro. Gheddafi molla l'islamismo e l'ormai disciolto blocco sovietico e si avvicina lentamente alle posizioni occidentali, riacquistando credito in modo difficilmente spiegabile: nel 1999 l'Onu toglie l'embargo e nel 2006 il presidente George W. Bush rimuove la Libia dalla lista degli "Stati canaglia".
Inoffensivo, con gli artigli spuntati e ormai vecchio, Gheddafi continua a interpretare la parodia di se stesso, circondato da vergini amazzoni armate e da una corte di donne tutt'altro che vergini. Dopo Belzebù Andreotti e il pluripregiudicato Craxi, con chi poteva stringere amicizia un tipo simile? Ovviamente con Silvio Berlusconi, al quale insegna il Bunga-bunga e con il quale fa affari, apparentemente d'oro.
Ora, nel momento della crisi, le aziende italiane sentono stringersi il cappio al collo. I soldi versati al regime se ne sono andati e i previsti appalti di cui avrebbero dovuto godere le nostre società sono in pericolo serio. Per non parlare del gasdotto attraverso il quale la Libia ci rifornisce di metano, completamente chiuso da ieri sera.
Solo il 23 dicembre scorso, Berlusconi aveva ancora il coraggio di dichiarare di essere "legato da amicizia vera con il presidente egiziano Mubarak, con il presidente libico Gheddafi e con il presidente della Tunisia Ben Ali'', a dimostrazione che il problema del satrapo di Arcore non è lo scarso senso morale che lo porta a frequentare un plotone di prostitute anche minorenni, ma la sua completa incapacità di essere un uomo di Stato.
Nessun commento:
Posta un commento