Tre anni fa, dopo la pubblicazione del mio primo (e finora unico) romanzo, avevo aperto questo blog intitolato come il libro, che nei progetti avrebbe dovuto essere uno spazio dedicato alla
promozione del romanzo e alle tematiche collegate, ma che poi nella
pratica è diventato una palestra di scambi di idee politiche. Nessun
successo "editoriale", nessuna rivelazione del web, nessun premio vinto,
ma una platea sufficientemente estesa di lettori da convincermi a
continuare.
Solo che conservare il titolo del romanzo non aveva molto più senso e
fra l'altro, grazie alla non particolare intelligenza di molti pasdaran
della rete, ingenerava anche qualche equivoco.
Per cui eccovi il mio nuovo blog, come al solito senza alcuna pretesa
dottrinale e aperto a tutti i commenti. Ho voluto dedicarlo a un
pensatore che ho sempre amato, il francese Pierre-Joseph Proudhon,
il primo a fornire una versione positiva del termine anarchia,
definendolo "una forma di governo o di costituzione nella quale la
coscienza pubblica e privata, formata dallo sviluppo della scienza e del
diritto, basta da sola a mantenere l'ordine ed a garantire tutte le
libertà".
"Non dite a mia madre che faccio il giornalista, lei mi crede pianista in un bordello".
lunedì 6 maggio 2013
martedì 30 aprile 2013
Vent'anni fa le monetine a Craxi, oggi Silvio saldamente al comando: la storia si ripete in farsa
Vent'anni fa ero davanti all'hotel Raphael, reduce da un comizio di Achille Occhetto a piazza Navona che avevo seguito per lavoro. Era un momento incredibile della storia italiana, con i "ladri" che tutti avevano sempre denunciato, ma a cui nessuno aveva mai messo le manette, finalmente alla gogna. Il Pds aveva da poco scelto di far parte di una sorta di governo di unità nazionale, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, che avrebbe dovuto fronteggiare le emergenze economiche causate da decenni di spavalde ruberie ai danni delle casse dello Stato. Ma quando il 29 aprile il Parlamento respinse la richiesta di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, il Pds e i Verdi ritirarono i propri ministri (Vincenzo Visco alle Finanze, Luigi Berlinguer all'Università e Francesco Rutelli all'Ambiente) nel giro di poche ore.
Etichette:
30 aprile 1993,
achille occhetto,
bettino craxi,
hotel rapahel,
monetine,
silvio berlusconi
lunedì 29 aprile 2013
"Il gommone che prima o poi Silvio bucherà" (Letta spera fra almeno 18 mesi)
"Berlusconi ci ha imbarcati su questo gommone e poi al momento opportuno lo bucherà". Chissà se è vera questa confidenza fatta dal neo ministro per le Riforme Istituzionali, Gaetano Quagliariello, e riportata oggi su Repubblica in un lungo editoriale di Francesco Merlo, lo stesso secondo il quale anche il pupillo di Silvio, Angelino Alfano, avrebbe dichiarato: "Tanto dura poco". Non v'è traccia di queste significative rivelazioni sugli altri organi di stampa e anche il giornale di Ezio Mauro non è che le abbia cavalcate più di tanto, quasi nascondendole agli occhi dei suoi stessi lettori.
Etichette:
discorso alle camere,
enrico letta,
gaetano quagliariello,
governo
mercoledì 24 aprile 2013
L'incarico a Letta, ennesimo cetriolo di Napolitano per il Pd
In questa situazione che anche a Kafka sembrerebbe leggermente eccessiva, ci tocca ringraziare quei grandi statisti della Lega se non ci siamo ritrovati con Giuliano Amato, il vice-ladrone del Psi (come per stessa confessione dei figli del ladrone leader), presidente del Consiglio per la terza volta, dopo che le prime due sono state da brivido.
A questo ci siamo ridotti. Perché ci si ricordi dell'epoca dei grandi ladrocini di massa, prima che arrivasse quella dell'uomo solo al comando della banda, ci vogliono ancora le camicie verdi, che tutto sommato da quella stagione di Tangentopoli ebbero il primo grande traino per la ribalta della politica nazionale.
Etichette:
enrico letta,
giorgio napolitano,
Giuliano Amato,
incarico
martedì 23 aprile 2013
Lo psicodramma del Pd e la normalità (vincente) di Debora
Mentre nell'assemblea nazionale va in onda il definitivo psicodramma del Pd, che archivia le dimissioni del segretario Pier Luigi Bersani e giura eterna fedeltà al presidente Napolitano e alla sua insopprimibile voglia di accordo con Silvio il Banana, il fumo delle dichiarazioni di democristiani alla frutta, giovani turchi, renziani ora a braccetto con dalemiani e vendoliani (Massimo e Walter hanno fregato anche loro) ed ex comunisti oscura una delle poche vittorie. Quella di Debora Serracchiani, non certo una campionessa da alti ingaggi, che solo per essersi costruita una reputazione di voce critica nei confronti dei vertici del partito e per aver detto chiaramente no all'inciucio e sì alla candidatura di Stefano Rodotà al Quirinale, ha vinto le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia, ex feudo leghista, ridicolizzando perfino il candidato grillino dato per favorito.
Ma guarda un po'. La sinistra, normale, che vince.
Etichette:
debora serracchiani,
friuli venezia giulia,
pd,
stefano rodotà
lunedì 22 aprile 2013
Sì Presidente, abbiamo peccato: l'idea di un accordo con Berlusconi ci fa sempre orrore
''Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell'idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche".
E' questo il passaggio del discorso di Giorgio Napolitano, pronunciato dopo il giuramento per il nuovo mandato al Quirinale, che segna lo spartiacque fra chi ha una vera coscienza politica e coloro che nel nome delle "complesse problematiche" sono pronti a digerire tutto.
Etichette:
discorso giuramento,
giorgio napolitano,
larghe intese
Que viva Rodotà (e la sinistra)
E' stato un fine settimana difficile. Dopo la più dissennata mossa compiuta da un uomo politico che io ricordi personalmente, quella di presentare un candidato come Franco Marini per farselo votare da Silvio Berlusconi, il Pd ha fatto in tempo a far cadere una bella palata di fango anche sull'incolpevole Romano Prodi, che a molta gente sta sul culo solo perché per due volte ha battuto il Banana e la sua corte di emittenti televisive e giornali carta straccia. E mentre tutto intorno non c'erano che macerie, sono stati capaci di rinnovare la fiducia al loro peggior carnefice, il presidente che aveva firmato ogni porcheria approvata dal partito del Caimano in modo che si salvasse dalla galera, che aveva fatto rinviare di un mese il voto di fiducia dopo l'uscita di Gianfranco Fini dalla coalizione di centrodestra (consentendo a papi Silvio di comprarsi i parlamentari che gli mancavano), che aveva salvato Berlusconi da una sconfitta elettorale sicura imponendo al Pd di appoggiare un governo tecnico di falliti, per i disastri del quale i conti li ha pagati solo la sinistra.
Etichette:
giorgio napolitano,
Giuliano Amato,
ignazio marino,
pd,
silvio berlusconi,
stefano rodotà
venerdì 19 aprile 2013
Bersani, la follia della marionetta che ha perso i fili
Stupisce che a darne la dimostrazione più lampante sia stato proprio Pier Luigi Bersani, considerato dai più un sanguigno politico della vecchia scuola. Ma lo scollamento fra l'intera classe dirigente e il paese reale ha ormai assunto dimensioni drammatiche. Come si potrebbe spiegare la follia che ha spinto il Pd a non votare per Stefano Rodotà per dare vita finalmente al tanto agognato governo di minoranza sostenuto dal M5S? E' colpa sua o dell'apparato? Perché qualcuno non lo ha fermato prima che facesse il nome di Franco Marini, un vecchio arnese dal passato tutt'altro che limpido, fra principesche abitazioni e soldi chiesti in favore del fallimentare house-organ di Comunione e Liberazione, un tempo fiero avversario della Cgil e dei comunisti? Perché hanno aspettato la reazione indignata dei loro elettori per impedire questo suicidio?
E' come se la "marionetta" spinta sul palcoscenico della politica nazionale dal suo burattinaio Massimo D'Alema avesse improvvisamente perso i fili tirati dal lider Maximo e si fosse accasciata ripiegandosi su se stessa.
Probabilmente Bersani non è più uscito mentalmente dal mondo provinciale dal quale proviene, dove il Pci era come la mamma, si amava e non si discuteva, qualunque cazzata venisse decisa dal comitato centrale, e la classe operaia era qualcosa che poteva benissimo essere sacrificata nel nome delle larghe intese (come si chiamavano un tempo gli inciuci).
Solo che oggi l'apparato è composto da una serie di idioti, utili all'avversario, sparsi fra la direzione nazionale, il giornale del partito, l'ufficio stampa, i responsabili dell'immagine, che dopo una lunghissima serie di errori dovuti alla loro incredibile supponenza (in questi giorni hanno inseguito anche i post privati di alcuni miei colleghi per cercare di smentire la voglia di accordo con Silvio Banana che invece era chiara a tutti), sono stati infine subissati da una valanga di insulti su Facebook, su Twitter, nella mail, per strada, dove hanno dovuto chiamare i carabinieri per uscire dalla porta posteriore del cinema Capranica.
La marionetta, senza più i fili, muore con gesto goffo e inelegante. Fine della corsa.
La marionetta, senza più i fili, muore con gesto goffo e inelegante. Fine della corsa.
Etichette:
franco marini,
m5s,
Pier luigi bersani,
romano prodi,
silvio berlusconi,
stefano rodotà
mercoledì 17 aprile 2013
Roma, l'assessore coi sandali fa i comizi in chiesa
"Don Fabio Rosini, biblista, Direttore del Servizio per
le Vocazioni in Vicariato, è molto conosciuto per aver iniziato il
progetto di Catechesi su I Dieci Comandamenti, diffusosi a macchia d’olio in tutta Italia", recita la sua agiografia. Chissà se si è ricordato di quel comandamento che dice di "non rubare", perché - secondo quanto scrive oggi Repubblica nella sua edizione cartacea - il nostro ha organizzato un bel comizietto del mitico assessore coi sandali, Gianluigi De Palo, utlima ruota del carro entrata a far parte della Giunta comunale di Gianni Alemanno grazie al bel rimpasto imposto da papi Silvio dopo l'abbandono di Gianfranco Fini.
Con tutto quello che è uscito fuori in questi mesi sull'operato di quella che è stata paragonata alla banda della Magliana, immagino che sarebbe servita maggiore prudenza da parte della Chiesa cattolica nel sostenere ancora una volta i candidati del centrodestra. Invece, siccome dallo Stato pretendono i soldi, ma poi i preti fanno come se le chiese fossero casa loro, don Rosini ha presieduto un incontro elettorale con De Palo in quella di San Francesco alle Stimmate, dietro a Largo Argentina, dove ricopre l'incarico di rettore.
De Palo è capolista della lista civica che fa proprio capo al sindaco Alemanno e i suoi simpatizzanti dell'associazione Ol3 sono stati convocati in chiesa con inviti mandati per e-mail per l'incontro, "manco fosse la recita del rosario", e hanno affollato la basilica al posto dei fedeli in preghiera.
Assessore alla famiglia (!), finora non ha combinato un tubo di fronte agli inevitabili tagli che hanno finito per colpire scuole e asili nido della città (ma non quelli cattolici, sia chiaro, del quale lui è ovviamente uno strenuo difensore). L'ultima sciocchezza è stata il lancio della certificazione di qualità per nidi e scuole materne (magari per dare un'altra spintarella a quelle Vatican approved) e mentre a Roma ci sono migliaia di bambini in lista d'attesa come in nessun'altra capitale europea, i suoi sodali in Comune assistevano passivamente a scandali come quelli dei subappalti per la metro C infiltrati dalle mafie, i mille consulenti del Comune, i debiti milionari delle municipalizzate, lo scandalo delle
tangenti sui filobus e pure qualche omicidio.
Santi subito.
Etichette:
comune di roma,
don fabio rosini,
gianluigi de palo,
gianni alemanno
martedì 16 aprile 2013
Candidati al Quirinale, ora i "democratici" non hanno più alibi
Una cosa è certa: con la lista dei candidati scelti dal Movimento 5 Stelle cade anche l'ultima foglia di fico del sedicente Partito Democratico, inguardabile carrozzone di litigiosi personaggi di terza categoria protesi nel disperato tentativo di conservare una poltrona, un incarico, una presidenza della bocciofila, uno strapuntino.
Malgrado le ironie dei fini commentatori politici (che se li fanno commentare sulle grandi testate vuol dire che sono strapagati per sostenere gli interessi dei loro editori), i "grillini" hanno presentato molte facce che un partito di sinistra potrebbe votare.
La prima della lista, Milena Gabanelli, è una pericolosa sovversiva. Fa un programma sulla Rai fra i più seguiti e viene pagata meno del più banale guitto da avanspettacolo, che tale resta anche con la tessera da giornalista in tasca, è davvero indipendente (orrore, orrore) e soprattutto il suo Report ha menato fendenti a destra e sinistra (ultima puntata sulla banda di malfattori che il sindaco della "destra sociale" ha portato con sè nel saccheggio del Campidoglio). Per quello il Pdl non la voterà, ma neanche il Pd, del quale ha rivelato ad esempio la compartecipazione al sistema di potere toscano fondato sul controllo del Monte dei Paschi di Siena, o la boria di personaggi ormai bolliti, come Rosi Bindi, o dei giri di valzer del mitico ex capo della segreteria di Bersani, Filippo Penati, costretto dai magistrati (non certo dal partito) ad abbandonare la politica e salvato dalla incredibile legge anticorruzione del governo dell'omino con il loden.
Così come il Pd non voterà mai per Gino Strada, perché gli ex comunisti in fin dei conti sono dei gran guerrafondai, avendo appoggiato tutte le missioni di guerra alle quali il nostro paese ha partecipato inseguendo le follie del texano amico di Berlusconi, per non parlare di ciò che fece il governo D'Alema in Kosovo. Non voteranno per Gustavo Zagrebelsky, perché il cattivaccio ha osato criticare la folla guerra scatenata da Giorgio Napolitano contro la Procura di Palermo. Non voteranno per Giancarlo Caselli, perché è "nemico" del loro magistrato di punta, quel Piero Grasso che avrebbe dato un premio al Banana per la sua lotta alla mafia (tipo un riconoscimento all'efficacia delle cure omeopatiche). Non voteranno nè per Stefano Rodotà, nè per Ferdinando Imposimato, perché non sono controllabili, nè per Dario Fo, che probabilmente neanche accetterebbe.
Potrebbero votare per Emma Bonino, la radicale che la metti su tutto, governi coi fascisti, liberismo alla matriciana, missioni di pace con grandi sprechi di vite umane fra i civili, incarichi europei su mandato del re del Bunga-Bunga, attacchi ai magistrati di Mani Pulite in difesa di Craxi, e poi di nuovo governi con la sinistra, nel tipico caprioleggiare italiota. E potrebbero votare per Romano Prodi, tutto sommato quello dalle mani meno sporche di tutta la compagnia di giro e sul quale potrebbero confluire dalla quarta votazione in poi i sostenitori del M5S. Ma anche lui sarebbe una netta presa di distanza dal leader del Popolo della libertà provvisoria, che lo odia perché lo ha battuto due volte.
Poi c'è l'ipotesi numero due: votare un presidente insieme a Berlusconi. E allora ecco in pole position Giuliano Amato, ex vice segretario del Psi dei tempi d'oro (quello che si mettevano in tasca), ex ministro del Tesoro che firmava le finanziarie degli assalti alla diligenza ed ex presidente del Consiglio costretto a varare manovre lacrime e sangue per rimediare alle follie del passato, pensionato di platino dello Stato che si mette in tasca oltre 30 mila euro al mese. Seguono a ruota altre facce improponibili, come quella di Anna Finocchiaro, pluritrombata candidata del partito in Sicilia e sempre ripescata con Porcellum o quota proporzionale del Mattarellum, moglie di un imputato per truffa alla Regione, esempio vivente della casta per la sua spesa all'Ikea in compagnia della scorta. E anche quella di Franco Marini, ottuagenario ex sindacalista, che come tutti i segretari della Cisl degli ultimi 30 anni ha ingoiato qualunque accordo sindacale a danno dei lavoratori per aprirsi una strada che lo facesse entrare in politica dalla porta principale.
Ho come il sospetto che, piaccia o no a Bersani, dal cappello uscirà un nome da inciucio, magari proprio quello della Bonino, che prendendoci per il culo con il garantismo radicale, firmerà una bella amnistia per tirare una bella riga sui nuovi processi a Papi Silvio.
Etichette:
elezioni presidente,
milena gabanelli,
movimento 5 stelle,
Quirinale
mercoledì 10 aprile 2013
Per il bene del paese: qualcuno sciolga il Pd
I poveri elettori di sinistra stanno ancora pagando una delle peggiori idee politiche dell'Italia repubblicana, la follia delirante di un ex leader vincente, Walter Veltroni, che come molti dei suoi attuali ed ex compagni, più che la "vocazione maggioritaria", ha un'attitudine autolesionista che farebbe invidia a Leopold von Sacher-Masoch.
Il celebre "nutella", nonostante i rovesci subiti a causa dei simpatizzanti di quello che un tempo fu anche un partito, che quando sentono il suo nome mettono giustamente mano alla pistola, ancora nei giorni scorsi veniva intervistato con grande spreco di pagine e di inchiostro sul Corriere della Sera per sostenere apertamente che il Pd deve scegliere "di ritrovare la sua vocazione originaria" (il suicidio, si immagina). Per l'ex sindaco di Roma, che ha contribuito alla più ignobile colata di cemento mai versata sulla Capitale con la creazione di quartieri dormitorio stile formicai completamente scollegati con il resto della città e la progressiva espulsione dei cittadini dal centro, il Pd non deve avere l'angoscia di "dire qualcosa di sinistra".
Il pensiero di questo illustre filosofo "va naturalmente allo spirito del Lingotto, idea che fu premiata da 12 milioni di elettori". Peccato che nonostante i 12 milioni di elettori (che sembrano un po' i dieci milioni di baionette di mussoliniana memoria) si sia persa la guerra consegnando a Silvio Berlusconi (molto meno stupido di lui) una maggioranza senza precedenti. Perché la verità che nessuno può confutare è che in Italia è impossibile governare senza mettere in piedi una coalizione (la Dc ne sapeva qualcosa) e il Banana, che non avrà studiato alle Frattocchie ma politicamente ha intuito da vendere, ha messo insieme un caravanserraglio da paura, dai fascisti ai razzisti secessionisti della Lega, dai residuati bellici dei partiti sciolti dalla magistratura (Dc e Psi) fino ai pensionati.
Oggi basta guardare a come si muovono le diverse anime di questo "mostro" creato in laboratorio e viene voglia di invocare l'eutanasia.
A non volere l'accordo con Berlusconi è rimasto il solo Bersani, che daNapolitano a Renzi, passando per il Letta meno intelligente e tutta quella congrega di chierichetti che solo a vederli viene la nausea, i nemici li ha avuti più all'interno che all'esterno. Ora premono tutti per l'inciucio con il Caimano, magari facendo eleggere al Quirinale quella Emma Bonino che ha trasformato i radicali italiani in un partito della destra liberista ed è stata alleata di Forza Italia per più di dieci anni.
Per il bene del paese, qualcuno stacchi la spina a questa schifezza e si dia da fare per costruire un partito socialdemocratico vero, magari cercando di includere (invece che di escludere) tutto quello che per amor di legalità e di giustizia sociale si trova ancora alla loro sinistra.
Etichette:
bersani,
pd,
renzi,
veltroni,
vocazione maggioritaria
martedì 2 aprile 2013
I dieci piccoli saggi, ovvero come Grillo ha restituito la palla nelle mani dei vecchi mandarini
Diciamoci la verità: la soluzione non ce l'ha nessuno. Nessuno dei quattro schieramenti che si sono presentati alle elezioni è in grado di partorire una proposta decente, un nome decente, un'idea condivisibile. E lasciare la palla nelle mani del Presidente è l'ultimo capolavoro di questo periodo storico senza ritorno.
Non è in grado di governare il Pd, che insiste sul nome di Bersani, solo perché in caso contrario prevarrebbe la corrente del partito che pur di rimanere in sella sarebbe disposta ad allearsi con Berlusconi. Non è in grado di governare il Pdl, che malgrado tutto è in caduta libera di consensi e con buona pace di quelle facce smunte che cercano adesso di mettere in pista per far sì che qualcuno dimentichi che razza di caravanserraglio aveva portato in Parlamento il Caimano. Tutti sanno benissimo che il giorno in cui si ritirerà a vita privata (o ce lo farà ritirare la magistratura) il centrodestra perderà almeno un terzo dei voti residui. E mentre Mario Monti viene seppellito da un mare di pernacchie e lasciato a fare il notaio di una maggioranza che non esiste e che per formarsi lo sottoporrà a ogni più bieco ricatto, neanche Beppe Grillo e il suo Movimento sono stati in grado di partorire un nome, semplicemente perché non ce l'hanno, non sanno che dire, non sanno cosa proporre, non sanno cosa fare.
mercoledì 27 marzo 2013
Presidente, parlamentari, poliziotti: quello strano senso della Giustizia (da non rispettare)
Oggi, fra il capolavoro del governo del poco intelligente (ora si può dire?) Mario Monti e dell'aristocratico che piace agli ex missini, Giulio Terzi di Sant'Agata, che si rimpallano le responsabilità della pessima gestione del caso dei Marò e il povero Bersani costretto a cercare di far ragionare quelle due specie di salme che fanno i portavoce del Movimento 5 Stelle (ma un comico come Grillo non li poteva scegliere un po' più brillanti?), sul nostro paese si è abbattuta un'altra mazzata niente male.
Presentando un rapporto sulla giustizia, che vede l'Italia fra gli ultimi in Europa per la lungaggine dei processi, il Commissario europeo Viviane Reding, ha risposto in conferenza stampa ai giornalisti che le chiedevano un giudizio sull'inefficienza del sistema italiano con un candido: "Se vogliamo un sistema giudiziario indipendente bisogna lasciarlo lavorare'".
La Reding è una esponente politica dei conservatori del Lussemburgo, che chiaramente vivono su un altro pianeta. Qui da noi, il fastidio che si prova di fronte alle decisioni della magistratura è qualcosa di trasversale e universale, al punto da diventare eversivo senza che nessuno se ne accorga.
E il magistrato indipendente, spesso, muore.
Tanto per dire, abbiamo un Presidente della Repubblica che contro le indagini di alcuni procuratori (che non lo stavano intercettando, lo hanno sentito parlare con un indagato, mica è colpa loro se lui frequenta certa gente) ha scatenato un assurdo conflitto davanti alla Corte Costituzionale costringendo la massima autorità giudiziaria italiana a mettere da parte ogni buon senso pur di dargli ragione. Come se fosse un monarca assoluto.
Abbiamo i parlamentari del Pdl che si schierano davanti alla procura di Milano (e fanno anche irruzione a sorpresa) solo perché finalmente i nodi del loro padrone stanno venendo finalmente al pettine e loro non sono più in grado si salvargli il deretano con qualche altra legge ad personam.
Abbiamo finanche le forze dell'ordine, con un sindacato che conta su pochissimi iscritti ma sull'appoggio di qualche politico di estrema destra, che scendono in piazza a Ferrara, insultano il sindaco e se la prendono con i magistrati che hanno messo definitivamente dentro quattro vigliacchi in divisa che hanno massacrato senza motivo un ragazzo.
Come si fa a spiegarlo alla Reding?
Etichette:
caso aldrovandi,
giustizia in Italia,
manifestazione sindacato polizia,
napolitano,
viviane reding
lunedì 25 marzo 2013
Tutti gli uomini dell'inciucio del Presidente
Pierluigi Bersani non ce la farà. Non solo perché la disponibilità ad appoggiare un suo governo da parte di Beppe Grillo e dei suoi sembra assai ridotta, ma anche - con tutta evidenza - per il fatto che a voler formare un governo di rinnovamento che abbia all'ordine del giorno del programma cose esotiche tipo il conflitto di interessi, la riforma della legge elettorale, la lotta alla corruzione e magari (perché no) finalmente l'ineleggibilità di quello scandalo vivente che si chiama Silvio Berlusconi, è rimasto solo lui.
Il Partito Democratico è ormai giunto alla frutta e il suo progressivo spostamento al centro è stato certificato da questa tornata elettorale sfortunata. Mentre il povero segretario continua a pensare alla "domanda di cambiamento" emersa dal risultato delle urne, tutto il resto dell'Armata Brancaleone tira la fune da un'altra parte.
Il primo è il presidente Giorgio Napolitano, che per ben tre volte ha giocato contro il suo partito, quando nel 2010 fece ritardare il voto sulla mozione di sfiducia contro il Nano avanzata da Fini (dandogli il tempo di comprare sotto i suoi occhi di garante un po' begalino una pattuglia di straccioni che gli salvarono le chiappe), quando nel 2011 convinse i compagni a suicidarsi votando insieme al Pdl il governo Monti, uno dei più impopolari (e inefficaci) della storia repubblicana e oggi con un incarico a Bersani fortemente condizionato, in modo da impedire al segretario l'unica mossa possibile: quella di formare un esecutivo con nomi talmente slegati dalla vecchia politica da mettere Grillo con le spalle al muro di fronte alla responsabilità di non appoggiare una pattuglia di persone che avrebbero invece incontrato tutti i favori della società civile. Napolitano lo ha detto chiaramente, lui tifa per il governo di unità nazionale, che non si può fare per quelle che lui chiama "antiche inimicizie", sorvolando sul fatto che il leader dello schieramento avversario (come direbbe quel gran genio di Veltroni) sia inseguito dalla Procure di tutta Italia (del resto, bei tempi quelli in cui i miglioristi di Giorgio facevano affari e giunta insieme ai cognati di Craxi nella Milano da bere) e che i suoi dipendenti tengano manifestazioni eversive contro la magistratura.
Ma i nemici di Bersani si annidano anche tra i funzionari di partito.
Il secondo è il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che continua ad agire da cerchiobottista, grazie anche al delirio collettivo che ha preso molti elettori del Pd convinti che con il democristiano dalla faccia brufolosa si sarebbero vinte le elezioni. A me sembra chiaro che con lui la sinistra avrebbe perso un altro bel po' di voti, però magari ora sarebbero al governo con Silvio, visto che Renzi ama andare in pellegrinaggio ad Arcore e ieri finalmente si è lasciato sfuggire quello che pensa da sempre: non si può fare un governo senza dialogare con Berlusconi.
E poi c'è tutto il caravanserraglio degli ex margheriti, gli Enrico Letta e le Rosy Bindi (una che l'opposizione a B. ha cominciato a farla solo dopo che il gentiluomo le ha dato apertamente della cessa, mentre il primo diceva che era meglio votare per il Caimano che per il Movimento 5 Stelle), i resti del rutellismo come Fioroni e Gentiloni, i resti del veltronismo, come il barbuto Franceschini (il perenne trombato), il tristissimo Fassino o il verde da salotto Realacci.
Tutta questa gente sa benissimo che, se un governo si dovesse fare, per loro sarebbe finita. Per sempre.
Ma tutto a un tratto arriva l'unto del Signore, che per evitare la galera o la latitanza in qualche paese lontano (la fine che fece il suo mentore di un tempo), propone la sua ricetta finale: Bersani a Palazzo Chigi con Alfano vice e un moderato al Quirinale.
Nessuno ride. Segno che molti ci stanno pensando e Renzi, diciamoci la verità, ci starebbe di sicuro.
Etichette:
berlusconi,
bersani,
governo,
inciucio,
napolitano,
renzi
lunedì 18 marzo 2013
Bergoglio, la dittatura argentina e le smentite "paracule" dei papisti
Sgombriamo subito il campo da un paio di cose. La frase sulle donne pronunciata da papa Francesco per criticare la presidentessa argentina gira su internet da molti anni, ma non ha alcun riscontro ufficiale ed è probabilmente frutto di un falso, anche se rispecchia in modo abbastanza fedele quel che pensano delle donne la stragande maggioranza dei preti cattolici. La persona che sta nella foto allegata al mio post sul papa, ritratta mentre dà la comunione a Videla, con tutta probabilità non è il nuovo papa, che all'epoca non risiedeva a Buenos Aires.
Detto questo, le accuse nei suoi confronti per il comportamento tenuto di fronte agli orrori della dittatura argentina trovano sempre più conferma.
Etichette:
bergoglio,
boff,
dittatura argentina,
esquivel,
estela de la cuadra,
orlando yorio,
pagina 12,
papa francesco,
verbitsky
giovedì 14 marzo 2013
Dini e Pisanu, ovvero quei brevi momenti in cui ti dispiace di non aver votato per Grillo
"Se i grillini arrivano in commissioni come l'Antimafia o il Copasir (il comitato di controllo sui servizi segreti) è un problema. E tu lo sai", viene sentito sussurrare in un Senato semideserto da Lamberto Dini, 82 anni, ex direttore generale della Banca d'Italia, ex Ministro del Tesoro, ex presidente del Consiglio votato pure dalla sinistra, ex Ministro degli Esteri dei governi di sinistra, ex membro della direzione nazionale del Partito Democratico e poi folgorato sulla via di Damasco da Silvio, per il quale è stato eletto senatore.
Etichette:
beppe pisanu,
copasir,
grillini,
lamberto dini,
movimento 5 stelle,
senato
Il nuovo Papa: ma siamo sicuri che alla gente interessi essere informata?
La retorica estasiata che accompagna i commenti all'elezione del nuovo Papa, anche da parte di chi si professa laico, è veramente ai limiti del ridicolo. Gli editorialisti della stampa italiana, si sa, è assai difficile che possano sollevare qualche dubbio, anche sulla comica pretesa che sia davvero lo Spirito Santo a illuminare i vescovi in Conclave, impegnati invece da millenni in lotte fratricide e intestine, che di spirituale hanno sempre avuto molto poco.
La gente, invece, vuole il Santo. Costi quel che costi.
E così il fatto che Jorge Mario Bergoglio abbia nel suo armadio lo scheletro del sostegno che come tutta la Chiesa Cattolica diede alla dittatura militare argentina trova assai poco spazio sui giornali. Tanto per fare un esempio, Repubblica, campione della stampa di sinistra (e come no), ci fa un micro box a pagina 12 dopo lenzuolate di idiozie sulla "nuova Chiesa di papa Francesco", "il gesuita amico dei poveri", "l'importanza di chiamarsi Francesco", la Comunità di Sant'Egidio che parla di "un uomo di governo e misericordia" Buenos Aires che festeggia e la Kirchner che si riconcilia. Poi si legge il pezzo e di riconciliazione non c'è traccia, si racconta solo di come i due si odiassero a causa della legge sui matrimoni gay approvata in Argentina.
La gente, invece, vuole il Santo. Costi quel che costi.
E così il fatto che Jorge Mario Bergoglio abbia nel suo armadio lo scheletro del sostegno che come tutta la Chiesa Cattolica diede alla dittatura militare argentina trova assai poco spazio sui giornali. Tanto per fare un esempio, Repubblica, campione della stampa di sinistra (e come no), ci fa un micro box a pagina 12 dopo lenzuolate di idiozie sulla "nuova Chiesa di papa Francesco", "il gesuita amico dei poveri", "l'importanza di chiamarsi Francesco", la Comunità di Sant'Egidio che parla di "un uomo di governo e misericordia" Buenos Aires che festeggia e la Kirchner che si riconcilia. Poi si legge il pezzo e di riconciliazione non c'è traccia, si racconta solo di come i due si odiassero a causa della legge sui matrimoni gay approvata in Argentina.
mercoledì 6 marzo 2013
Il ritorno di D'Alema e quella sua voglia di Bicamerale perenne
''Vogliamo liberarci dal complesso, dalla malattia psicologica dell'inciucio? Gramsci diceva che la paura dei compromessi è l'emanazione di una subalternità culturale che serpeggia nelle nostre file. Il fatto che in un Paese in cui da vent'anni le forze politiche non sono d'accordo su nulla il dibattito sia dominato dall'inciucio è segno di fragilità culturale''.
Ci avete capito qualcosa? No?
Tranquilli a delirare non siete voi, ma il comandante in capo Massimo D'Alema, tutt'altro che rottamato alla faccia di Matteo Renzi. Se Bersani avesse vinto ce lo ritrovavamo come minimo Ministro degli Esteri e siccome non ha vinto, il politico meno astuto del panorama italiano (si è fatto raggirare da Silvio come neanche le vittime di Vanna Marchi e con lui presidente del Consiglio il Pds ha perso perfino a Bologna) viene colto dalla perenne voglia di Bicamerale e di accordi con la destra. Perché si sa che a D'Alema la sinistra dà un fastidio terribile. Il popolo puzza, signora mia.
E così oggi, durante la direzione nazionale del partito, mentre il segretario esponeva la sua linea la cui discriminante era: "Con il Pdl mai!", ecco baffino che interviene per dire che in fondo, se Berlusconi si facesse da parte, e poi Gramsci e poi il compromesso.... blah, blah, blah.
"C'è da rammaricarsi che non sia possibile l'unità nazionale", si lamenta il fine pensatore, intristito dalla possibilità che stavolta per lui (e tre quarti della palazzina sua) sia finita per davvero.
Etichette:
berlusconi,
bersani,
d'alema,
direzione nazionale pd,
inciucio
martedì 5 marzo 2013
Quando la politica "tira": la prima seduta del Senato sarà presieduta da un vero fossile
Per una strana legge del contrappasso, la prima seduta del Senato che vedrà come mai in precedenza l'ingresso di tante facce nuove, sarà presieduta da un vero fossile della Prima Repubblica, il solito democristiano doc, il giovane virgulto Emilio Colombo.
La notizia ce la dà oggi il Corriere della Sera, precisando che Colombo, 92 anni, a cui toccherà l'onore in quanto il più anziano a Palazzo Madama, avrebbe già confidato agli amici: "Se i senatori del Movimento 5 Stelle si presentano senza giacca e cravatta io non li faccio entrare in aula".
Etichette:
cocaina,
emilio colombo,
palazzo madama,
prima seduta parlamento
lunedì 4 marzo 2013
Il centrosinistra non l'ha presa molto sportivamente e non ha capito che il problema è Bersani
Il centrosinistra non l'ha presa sportivamente. Dagli uffici del Nazareno ai sostenitori che si arrovellano su Internet, è tutto un fiorire di accuse nei confronti dei grillini, di chi ci ha creduto, di Santoro, di Travaglio, di Berlusconi e degli italiani idioti che ancora lo votano, degli illusi che hanno preferito il "giustizialista" Ingroia. Poi ci sono quelli che hanno votato sempre a destra (mica perché sono idioti, ma perché hanno fatto carriera grazie alla loro etichettatura politica o perché grazie a quello schieramento continuano allegramente a non pagare il dovuto sui loro ingenti patrimoni) che guardano dall'alto verso il basso, come se il Pdl non avesse perso sei milioni di voti dopo cinque anni passati al governo con una maggioranza che un tempo si sarebbe definita bulgara, sperando in qualche ripescaggio stile governo di unità nazionale.
L'impressione è che proprio non si sia capito nulla di ciò che è successo.
Etichette:
berlusconi,
bersani,
fabio fazio,
governo,
grillo,
m5s,
pd,
processo ruby
martedì 26 febbraio 2013
I simpatizzanti del Pd se la prendono con Ingroia e Grillo, ma il vero responsabile del caos italiano è seduto al Quirinale
"Se becco chi ha votato Grillo lo meno". "Ingroia se ne torni in Guatemala". "Il Movimento 5 Stelle è il nuovo fascismo".
Come al solito i resti del Pci e della Dc che hanno deciso di chiamarsi Partito Democratico, anche se sono abituati alla sconfitta, non hanno ancora imparato a perdere. I loro simpatizzanti sui social network fanno davvero tenerezza quando si scagliano contro i presunti responsabili, un po' meno i commentatori strapagati come l'ineffabile Michele Serra, che dopo aver passato tutta la campagna elettorale a parlare male di Grillo oggi ammette di essere "un quasi sessantenne benestante" (benestante un cazzo, benestante sono io, lui è semplicemente ricco) e di non averci capito un tubo. Poi alla fine stizzito se la prende con Ingroia e si augura che resti tutta la vita in Guatemala.
Etichette:
bersani,
grillo,
ingroia,
michele serra,
napolitano
lunedì 25 febbraio 2013
Il Pd, ovvero come fare politica senza capirla mai
Non so se sia stata colpa dello spin-doctor dal nome simile a quello di uno spogliarellista da avanspettacolo, ma bisogna dire che lì al Pd non ne hanno azzeccata una. Se davvero speravano nella stampella di Monti, gli è andata malissimo perché era prevedibile che di fronte al nome del Professore molti elettori avrebbero messo mano alla pistola (e al portafoglio), se credevano che Grillo non gli avrebbe portato via un casino di voti gli è andata anche peggio. E l'appello al voto utile deve avere avuto un effetto solo sugli elettori di Ingroia, che i primi sondaggi avevano dato addirittura al 10% e che invece non è arrivato neanche al 3% e quindi non entrerà in Parlamento.
E' certo che chiunque ci sia dietro la scelta di non affrontare i programmi televisivi scomodi e le piazze, per cazzeggiare su Internet con le smacchiature dei giaguari e altre amenità non ci ha capito un tubo fin dall'inizio. Per l'ennesima volta, il centrosinistra non è riuscito a togliere un voto al centrodestra e ne ha persi un altro po' a sinistra.
venerdì 22 febbraio 2013
Il voto? Uno psicodramma per l'elettorato di sinistra
Domenica e lunedì si va a votare e sarebbe cosa buona e giusta farlo, dopo cinque anni che possono essere annoverati fra i peggiori di sempre nella storia della nostra Repubblica. Il problema è, ovviamente, per chi. E qui non solo casca l'asino, come direbbe quell'anarchico di Antonio De Curtis, ma viene giù proprio tutta l'impalcatura.
Etichette:
antonio ingroia,
beppe grillo,
berlusconi,
elettirato di sinistra,
elezioni,
pd
mercoledì 13 febbraio 2013
Finmeccanica e le meraviglie della stampa italiana
Il caos di Finmeccanica fa il paio con quello del Monte dei Paschi di Siena. Silvio Banana e i suoi non avevano neanche finito di festeggiare il crack della banca senese, legata a doppio filo a personaggi cardine del Partito Democratico, che nel giro di 24 ore sono arrivati una serie di missili contro i manager-spazzatura amici del centrodestra, come Paolo Scaroni dell'Eni, che è stato arrestato nel 1992 nell'inchiesta Mani Pulite, nel 1996 è stato condannato a un anno e 4 mesi per tangenti di svariate centinaia di milioni di lire italiane versate al Psi, nel 2005 è stato nominato ai vertici della più grande azienda pubblica italiana dal governo Berlusconi e oggi, perché il lupo perde il pelo ma non il vizio, è indagato dalla procura di Milano per corruzione per una
presunta tangente pagata ad esponenti del governo algerino per favorire
la controllata Saipem e la stessa Eni in appalti da 11 miliardi di
dollari.
Etichette:
confindustria,
finmeccanica,
giorgio squinzi,
giuseppe orsi,
lega nord,
roberto maroni,
sole 24 ore
martedì 12 febbraio 2013
I Patti Lateranensi: da Mussolini a Craxi, quell'accordo scellerato che stiamo ancora pagando
Chissà se l'anniversario di ieri, quello dei Patti Lateranensi firmati nel 1929, ha avuto un ruolo nella decisione di papa Benedetto XVI di autorottamarsi. Era l'11 febbraio di 84 anni fa, sette anni dopo che il regime fascista era salito al potere, quando Pio XI (tramite il cardinale Pietro Gasparri) e Benito Mussolini celebrarono la nascita dello Stato Vaticano e secondo l'Osservatore Romano bisogna ''constatare ancora una volta la funzionalità della soluzione convenuta'' tra l'Italia e il Vaticano e ''la sua rispondenza a tuttora perduranti esigenze, la sua idoneita' nel continuare a guidare verso obbiettivi condivisi''.
Purtroppo l'affare lo hanno fatto solamente le autorità ecclesiastiche.
Etichette:
bettino craxi,
concordato,
ora di religione,
otto per mille,
papa pio XI,
patti lateranensi
lunedì 11 febbraio 2013
Addio a Ratzinger, le dimissioni del peggior nemico della modernità
Le dimissioni di papa Josef Ratzinger erano annunciate da tempo. Almeno da un anno circolavano le voci e gli articoli di stampa che parlavano dell'ipotesi, quasi senza precedenti. Oggi la definitiva resa: a 85 anni il principale nemico della modernità nel mondo occidentale sente il peso degli anni e getta la spugna.
Un atto sensazionale, che ovviamente ha dato la stura a uno tsunami di commenti da parte di tutto il mondo politico e cattolico italiano, che come al solito si distingue per la sua straordinaria propensione al lecchinaggio. Papa Benedetto XVI era bravo, buono e bello, anche se non è ancora morto, e soprattutto anche un grande studioso.
lunedì 4 febbraio 2013
Imu e reddito di cittadinanza: Silvio le spara grosse e il democristiano Bersani si indigna
La campagna elettorale sta prendendo una tristissima piega. Il Caimano tenta il tutto per tutto per recuperare posizioni contando sulla basilare ignoranza dell'elettorato che lo ha fin qui sostenuto e per far dimenticare a gente dalla memoria sempre assai corta una ventina d'anni di porcherie e grossolana incapacità di governare.
Vale tutto: dall'abolizione dell'Imu sulla prima casa e la sua restituzione in contanti, al condono tombale che in fondo è il sogno di una buona metà del paese, che vive di evasione fiscale ed economia in nero.
Etichette:
beppe grillo,
imu,
mario monti,
pd,
pierluigi bersani,
silvio berlusconi
venerdì 1 febbraio 2013
Il caso Monte dei Paschi e la "pelosa" difesa delle istituzioni
Per carità. Tutti in campo a difesa delle istituzioni, tutti pronti a far finta di niente, se i manager delle banche giocano alla roulette russa, la vigilanza dorme sonni profondi e i governi ripianano le perdite a colpi di nuove tasse. Certi monumeni istituzionali non si possono toccare altrimento non si fa il bene del paese, dicono.
E così davanti alla tragicommedia del Monte dei Paschi di Siena, nella quale ogni giorno emerge qualche nuova perla nascosta mettendo tutti contro tutti e consentendo perfino a uno come Giulio Tremonti, che di certo non ha lasciato un grandissimo ricordo di sè come ministro dell'Economia, di prendersi qualche rivincita.
Etichette:
banca d'italia,
giorgio napolitano,
monte dei pachi
martedì 29 gennaio 2013
Non vedo, non parlo, non sento: le tre scimmiette in Banca d'Italia
Rese celebri e paradigmatiche dai gialli Garzanti degli anni cinquanta, le tre scimmiette che non vedono, non parlano e non sentono, sono in realtà un simbolo di saggezza, un motto illustrato di origine giapponese. Quello che non vorrebbero nè vedere, nè sentire, nè pronunciare è il Male. Ma nell'immaginario collettivo sono diventate un sinonimo di omertà, di collusione, di disonestà materiale e intellettuale.
Un po' la storia della Banca d'Italia, quantomeno negli ultimi quarant'anni. Complici i giornalisti (quelli "embedded" a Palazzo Koch sono veramente terribili) che non scrivono mai male a prescindere di tutte le brutte facce che si sono avvicendate alla guida dell'istituto. Tutti bravi, buoni, belli e soprattutto competenti, anche quando si capisce lontano un miglio che tutto c'hanno in testa tranne il bene del paese.
Etichette:
banca d'italia,
mario draghi,
mps,
vittorio grilli
mercoledì 23 gennaio 2013
Mussolini e i regali al Vaticano: quando c'era Lui era proprio come oggi
Quando c'era Lui, caro lei, le cose andavano proprio uguale. Un dittatore poco intelligente e assai poco statista (era convinto di poter avere un impero e guidava un paese di contadini analfabeti), nato socialista e anti interventista e morto appeso per i piedi dopo una guerra che ci è costata milioni di morti, l'occupazione nazista e i bombardamenti degli alleati. Ma che soprattutto si comportava come il degno predecessore di quelli che sarebbe stati di lì a venire i capi del governo: elargiva a piene mani agli industriali (le squadre d'azione agivano contro gli operai in sciopero e il suo regime fu il primo ad attuare delle politiche che oggi definiremmo liberiste a favore di imprenditori e proprietari terrieri) e ai preti.
Meraviglioso in questo senso il reportage pubblicato dall'autorevolissimo quotidiano britannico The Guardian, che nel giorno in cui il presidente della Cei Angelo Bagnasco intonava la solita tiritera sul fatto che la Santa Sede paga regolarmente le tasse, ci racconta del "tesoro" accumulato dal Vaticano in Francia (a Parigi), in Svizzera (e dove sennò) e a Londra.
Lo sapevate che la sede di Bulgari a Bond Street e quella di una banca di investimenti a St.James Square (pagata 15 milioni di sterline nel 2006) sono roba loro? Ed è solo la punta dell'iceberg di un patrimonio immobiliare pari a 570 milioni di sterline (la stima è del Consiglio d'Europa), acquisito con operazioni segrete, da prestanome finanziari e frutto, indovinate un po', della gran mole di denaro che il cavalier Benito Mussolini versò ai preti in cambio del riconoscimento del regime fascista nel 1929.
Tutto questo lo devono al sapiente lavoro del vero "banchiere di Dio" (l'altro, Calvi, è finito appeso anche lui sotto un ponte sul Tamigi), Bernardino Nogara, che papa Pio XI mise alla guida dell'Amministrazione della Santa Sede. Fra il 1929 e l'inizio della Seconda Guerra, Nogara investì i
capitali vaticani nei più vari settori
dell'economia italiana, dall'energia elettrica alle comunicazioni telefoniche, dal credito
bancario alle ferrovie locali, della produzione di macchine agricole alle fibre tessili. Un cardinale americano, scrive lo storico Renzo De Felice, definì Nogara "la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica dopo Gesù Cristo".
Paragone un po' blasfemo per un cardinale, ma assai veritiero.
I poveri giornalisti inglesi, che non possono immaginare un sistema marcio e da sempre condizionato dalle tonache come il nostro, hanno scritto che "mentre la segretezza sulle origini fasciste delle proprietà papali potrebbe essere stata comprensibile in tempo di guerra, quello che è meno chiaro è perché il Vaticano continui a mantenere il segreto sui suoi possedimenti".
Beata ingenuità anglosassone.
Etichette:
mussolini,
proprietà immobiliari,
tesoro,
the guardian,
vaticano
Siena, tanto tuonò che piovve: la catastrofe dei tecnici e della banca catto-comunista
La storia vuole che sia arrivato ai vertici della Fondazione Monte dei Paschi di Siena nel 2001 grazie all'appoggio dei Ds e della Curia, perché quando ci sono in mezzo i soldi, si sa, il diavolo e l'acquasanta vanno sempre d'accordo. Una tipica storia italiana quella di Giuseppe Mussari, che dal 2006 al 2012 ha fatto a pezzi una delle istituzioni del sistema bancario italiano, grazie alla evidente insipienza dei vertici dell'organo di controllo sulla Borsa, la Consob, e della mitica Banca d'Italia, che per molti anni è stato il regno delle tre scimmiette (non vedo, non parlo, non sento).
Non bastavano i bilanci truccati, le spese pazze per il Palio e la squadra di basket (che da anni domina il campionato) e la "madre di tutte le follie" (come la definisce qualcuno) ovvero l'acquisizione dell'Antonveneta per 10 miliardi di euro, contro un valore patrimoniale di poco più di due miliardi. Ai conti in rosso ci aveva pensato il governo di Mario Monti, che senza colpo ferire ha rimpinguato le casse dell'istituto con la bellezza di 3,9 miliardi di euro (praticamente le entrate dell'Imu sulla prima casa sono finite tutte lì) e il buon Mussari, grazie evidentemente ai grandi risultati ottenuti, era diventato addirittura presidente dell'Abi, l'associazione che riunisce tutte le banche italiane.
Ieri si è dovuto dimettere di gran carriera da quest'ultimo (si spera) incarico perché è venuto fuori un altro capolavoro, la storia di un "derivato" segreto chiamato Alexandria, spazzatura che si basava su mutui ipotecari ad altissimo rischio, le cui perdite sono state scaricate dal Monte per abbellire il bilancio del 2009 ai giapponesi della compagnia di servizi finanziari Nomura, la quale avrebbe poi riversato queste perdite sulla banca italiana attraverso un contratto a lungo
termine che Mussari e soci si sono ben guardati di trasmettere ai revisori dei conti e alla Banca d'Italia.
A cosa serviva il trucchetto? A chiudere il bilancio del 2009 in utile e consentire al nostro omino dei conti di incassare l'anno dopo un bonus da Paperone, pari a 800 mila euro.
Si parlava di tipica storia italiana.
E che altro si potrebbe dire di un tizio che si spacciava per amico di Massimo D'Alema, era vicino a Comunione e Liberazione, era appoggiato dal sindaco di Siena del Pd, Franco Ceccuzzi (travolto anche lui dallo scandalo e costretto a lasciare la poltrona), ha finanziato per 673 mila in dieci anni prima i Ds e poi il Pd grazie ai suoi immeritati stipendi, vantava legami con alcune delle facce più tristi del centrosinistra, come Franco Bassanini, Rosi Bindi, Luigi Berlinguer (sì proprio quello che ha scelto i candidati del Pd alle prossime elezioni) e Giuliano Amato ed e' diventato presidente dell’Abi grazie al sostegno di Corrado Passera, oggi impalpabile ministro dello Sviluppo?
Cinquant'anni, avvocato calabrese, questo campione dei manager alla matriciana (meglio, alla 'nduja) ha bruciato 4 miliardi di euro in cinque anni, dissipando tutto il tesoro accumulato in mezzo secolo dal Monte dei Paschi e riducendo mezzo capoluogo toscano alla canna del gas.
Quando si dice i "tecnici".
Etichette:
abi,
alexandria,
banca d'italia,
consob,
giuseppe mussari,
mario monti,
monte dei paschi di siena
martedì 22 gennaio 2013
Che tristezza Veltroni e Bertinotti che cantano Gaber...
In Italia non si può neanche morire in pace. Come Giorgio Gaber, ad esempio, che da quanto ha tirato le cuoia viene continuamente citato a sproposito a destra e sinistra, con risultati che definire comici è un eufemismo. Prendete a esempio Fabio Fazio, il conduttore televisivo più pagato d'Italia (e probabilmente d'Europa) che strappa ai contribuenti che pagano il canone Rai milioni di euro l'anno: più di lui, di soldi pubblici, se ne mette in tasca solo Roberto Benigni, il giullare di corte che piace a tutti, perché non dà fastidio a nessuno. La trasmissione "Che tempo che fa" è fra le più banali del panorama televisivo già morente e ci mancava solo l'omaggio a Gaber con Walter Veltroni e Fausto Bertinotti che hanno letto il testo della canzone "Qualcuno era comunista".
Mi è venuta una tristezza infinita.
Un po' perché mi è capitato di votare per tutti e due e ora li detesto per la triste fine che hanno fatto e il modo in cui hanno ridotto la sinistra italiana. Un po' perché penso che nessuno che abbia fatto politica in Italia possa apopropriarsi del pensiero di un anarchico individualista come il signor G. Ma poi anche perché l'ex sindaco di Roma, una vita nel partito di Botteghe Oscure, dalla Fgci al Pci, ci ha tenuto spesso a dire che lui comunista non lo è mai stato e perché l'ex segretario di Rifondazione, passato dal Chiapas del subcomandante Marcos al salotto della signora Angiolillo a Trinità de' Monti, è nato politicamente nel Psi, per poi confluire nel Psiup (il Partito Scomparso In Un Pomeriggio) e infine nel Pci e nel Pds. Gaber, la sinistra, i comunisti... tutti buoni ormai per gli scarti televisivi da prima serata.
"Qualcuno era comunista perché la rivoluzione?... oggi, no. Domani, forse. Ma dopodomani, sicuramente!".
Un po' perché mi è capitato di votare per tutti e due e ora li detesto per la triste fine che hanno fatto e il modo in cui hanno ridotto la sinistra italiana. Un po' perché penso che nessuno che abbia fatto politica in Italia possa apopropriarsi del pensiero di un anarchico individualista come il signor G. Ma poi anche perché l'ex sindaco di Roma, una vita nel partito di Botteghe Oscure, dalla Fgci al Pci, ci ha tenuto spesso a dire che lui comunista non lo è mai stato e perché l'ex segretario di Rifondazione, passato dal Chiapas del subcomandante Marcos al salotto della signora Angiolillo a Trinità de' Monti, è nato politicamente nel Psi, per poi confluire nel Psiup (il Partito Scomparso In Un Pomeriggio) e infine nel Pci e nel Pds. Gaber, la sinistra, i comunisti... tutti buoni ormai per gli scarti televisivi da prima serata.
"Qualcuno era comunista perché la rivoluzione?... oggi, no. Domani, forse. Ma dopodomani, sicuramente!".
Etichette:
fabio fazio,
fausto bertinotti,
giorgio gaber,
walter veltroni
lunedì 21 gennaio 2013
Fa più ridere Berlusconi quando dice di non aver mai pagato una donna o Monti quando parla di riforme "radicali" contro le lobby?
Sentire uno come Mario Monti, che parla di "riforme radicali" e attacca i "fortini protetti delle lobby, delle corporazioni, dei privilegi del nostro paese", sposta in alto l'asticella del senso del ridicolo italiano. Dopo Berlusconi, campione dei conflitti di interesse e di bugie epocali (da quella secondo la quale non ha mai pagato una donna, fino al complotto internazionale che lo avrebbe spodestato da Palazzo Chigi), ecco il nuovo che avanza a colpi di balle mefitiche.
Se c'è una persona che in Italia incarna bene quella del lobbista, è proprio il Professore, la cui campagna elettorale viene finanziata da un manipolo di industriali che vanno da Tronchetti Provera a Della Valle, passando per Montezemolo, la famiglia Agnelli e Sergio Dompè (presidente di Farmindustria, una delle lobby più potenti e più difficili da intaccare).
Monti è anche uomo dell'Università Bocconi, i cui campioni hanno occupato in questi ultimi tempi molti posti chiave del paese, delle banche (clamorosi i cosiddetti Monti bond, 3,9 miliardi che il governo presterà al Monte dei Paschi di Siena,
accettando di farsi rimborsare gli interessi, in caso di insolvenza,
con azioni della banca valutate cinque volte più di quanto faccia il
mercato), del famigerato Gruppo Bildeberg (che non sarà l'impero del male ma non è neanche il club degli amici di Topolino) e ha lavorato per la Fiat per la quale ha fatto parte del consiglio di amministrazione (sintomatico l'endorsement ricevuto da Marchionne a Melfi, peccato che due giorni dopo il manager col maglioncino, fregandosene del suo lode, abbia annunciato la chiusura dell'impianto per due anni e la cassa integrazione).
Prima di diventare Presidente del Consiglio "tecnico" era international advisor per Goldman Sachs, una delle più grandi banche d'affari del mondo, incriminata per frode dalla SEC, l'ente governativo statunitense che controlla la Borsa, e nota per il meccanismo delle revolving doors (le porte girevoli), grazie al quale alcuni personaggi passano da responsabilità pubbliche a ruoli
di vario genere all'interno della banca e viceversa, garantendo gli interessi della consueta oligarchia e influenzando in maniera assai poco trasparente le politiche economiche dei singoli paesi (soprattutto quelli in difficoltà, come noi o la Grecia).
Ecco, a un uomo così, che il Financial Times oggi ha definito "inadeguato a governare l'Italia" paragonandolo a Heinrich Brüning, cancelliere della Repubblica di Weimar ed esponente del centro cattolico, che con le sue politiche economiche di austerità contribuì ad aggravare il disagio sociale in Germania favorendo l'ascesa del
nazismo, è proprio difficile credere quando parla di riformismo.
Perché l'unica riforma che ha in mente, ed è cosa nota da tempo, è quella di ridurre i diritti dei lavoratori, i trattamenti sanitari e pensionistici, i soldi alla scuola e alla sanità pubbliche. Le lobby, con lui, possono dormire sonni proprio tranquilli.
Etichette:
banche,
goldman sachs,
gurppo bildeberg,
industriali,
lobby,
mario monti
martedì 15 gennaio 2013
Casini, la Dc e i valori della famiglia (la sua)
Quando sentite un democristiano parlare dei sacri valori della famiglia dovete credergli. E' dai tempi dello sbarco degli americani in Sicilia che la Famiglia, quella con la F maiuscola, è in cima ai pensieri dei notabili dello scudocrociato e dei loro ex portaborse diventati politici di qualche peso anche nella Seconda, e ben più tragica, Repubblica.
Inutile ricordare qui come lo scudo crociato sia stato per anni il riferimento politico della criminalità organizzata, da Andreotti a Salvo Lima, a Ciancimino. I tempi sono cambiati e oggi la famiglia è quella da piazzare negli strapuntini della macchina del potere, con vecchie zie, cognati, fratelli e fidanzatini in attesa di un posto al sole in lista (miracoli del porcellum).
Come sempre però i democristiani fregano tutti.
Pensate a Pierferdinando Casini, che nelle liste dell'UDC, orfane di campioni come Totò Cuffaro, è stato capace di buttarci dentro la moglie del fratello, il fidanzato della figlia e il marito della sua portavoce, oltre al nipote di Ciriaco De Mita. L'uomo che si prefigge di difendere l'identità cristiana è naturalmente divorziato dalla prima moglie, che ha lasciato per sposare l'erede dell'impero Caltagirone che ha una ventina d'anni meno di lui (come tutti i leader dei partiti che dicono di essere di ispirazione cattolica).
Ecco, il campione che una parte del Pd non smette di corteggiare e che piace tanto al professor Monti, l'ex portaborse di Arnaldo Forlani (l'ex segretario della Dc condannato in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per la madre di tutte le tangenti, quella di Enimont) è uno dei tanti che tuona contro le unioni civili e i matrimoni gay, lo stesso che utilizzava la carta intestata della Camera dei Deputati (della quale era presidente) per esprimere la sua solidarietà a Marcello Dell'Utri.
Poi uno guarda i sondaggi e vede che forse vale meno del 4%.
E il povero Bersani è costretto a chiedere a Ingroia (per il quale i consensi sono decisamente maggiori, ma gli strateghi del Pd avevano completamente sottovalutato il fatto) di desistere dal presentare la sua lista nelle regioni dove la partita è ancora in bilico.
Forse 'sta vittoria mica è tanto certa. lunedì 14 gennaio 2013
Moderati, estremisti, cattolici, musulmani ed ebrei: tutti d'accordo quando si tratta di negare i diritti degli altri
La manifestazione di ieri a Parigi, dove oltre mezzo milione di persone sono scese in strada per manifestare contro la proposta di legge socialista per rendere legali i matrimoni gay, è stata un perfetto esempio di come le facce peggiori di una società complessa, quelle che creano le maggiori divisioni anche al loro interno, siano sempre d'accordo quando si tratta di negare i diritti degli altri.
A sfilare per le vie della capitale fino alla Torre Eiffel c'erano infatti i moderati dell'UMP insieme agli estremisti razzisti del Fronte Nazionale, la Chiesa Cattolica insieme ai rabbini ebrei e ai vertici del Consiglio musulmano, tutti insieme per impedire l'affermazione di un diritto sacrosanto, che per giunta non toglie nulla a nessuno, nè afferma la supremazia di un'idea su un'altra, o di uno stile di vita su un altro.
Perché il loro unico scopo è questo.
Limitare la libertà individuale. Nei millenni.
venerdì 11 gennaio 2013
Berlusconi a Servizio Pubblico: perché hanno vinto Santoro e Travaglio
Uno dei tanti mali che affliggono questo paese è emerso con prepotenza nella scarica di commenti che hanno fatto seguito alla partecipazione del Caimano alla puntata di ieri di "Servizio Pubblico". Tutti a chiedersi chi ha vinto, come se Michele Santoro o Marco Travaglio fossero degli avversari politici di Silvio Berlusconi e non dei semplici giornalisti, come se quello di ieri sera fosse un confronto fra due candidati alla presidenza del Consiglio e non un talk-show in cui per la prima volta il miliardario-ridens si è sottoposto in diretta a qualche domanda scomoda e a tutte le critiche del caso.
Naturalmente i più severi con il conduttore della trasmissione e il suo collaboratore più famoso sono stati i giornalisti sedicenti "di sinistra", che sono notoriamente dei grandissimi rosiconi, anche perché quasi tutti hanno provato a fare televisione con risultati disastrosi. Come Curzio Maltese su Repubblica, il quale sostiene con tutto il livore di cui è capace che Santoro incarna la "sinistra parolaia e gonfia di sé, ma alla fine disponibile al
compromesso" e gli dà del "tribuno televisivo". Per anni, è il ragionamento di Maltese, "ha fatto notizia contro Berlusconi, ora l'unica possibilità era di farla con Berlusconi", come se il giornale per cui scrive e lui stesso non avessero campato di rendita sulla opposizione (un po' a targhe alterne, per la verità) nei confronti del miliardario di Arcore.
Per non parlare di Aldo Grasso sul Corriere, che parla di "scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar, due tecnici del populismo, fratelli coltelli un po' guitti". Oppure Lucia Annunziata, che dal suo sito web titola tutta contenta "La lepre Silvio" e insiste su una presunta vittoria di Berlusconi che lo rilancerebbe nell'agone politico facendolo risalire nei sondaggi (magari così la riporta alla presidenza della Rai).
Figuriamoci come la poteva prendere l'Unità, che nel suo commento scrive che "anziché il pugile suonato che ci si poteva attendere, l'ex premier impone la sua agenda", parla di "grande spettacolo, una lunga e complessa messinscena" e del largo sorriso di commiato finale del Berlusca che "lascia qualche
dubbio su chi si senta il vincitore del confronto".
Ovviamente trionfanti i giornali della destra, come il foglio diretto da Sallusti (e pagato dalla famiglia di Silvio) che parla di "lezione di Berlusconi a Travaglio", o come Il Tempo, che vaneggia di "spot" di Santoro per il re del bunga-bunga.
Chissà cosa si aspettavano questi illustri commentatori.
Forse che Santoro lo mettesse all'angolo e lo picchiasse davanti a tutti, che Travaglio gli sputasse in faccia in diretta e che Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna lo graffiassero con le loro unghie. Perché è proprio vero: la stampa italiana è invidiosa dei successi altrui e sempre schierata con qualcuno a prescindere, come direbbe Totò.
La realtà è che Santoro e Travaglio hanno vinto a mani basse: il primo perché ha fatto nove milioni di spettatori (quasi una finale di Sanremo o una partita della Nazionale) e perché oggi anche nei bar non si parla d'altro. Il secondo perché ha ricordato senza pietà lo sfascio di questi vent'anni di berlusconismo e ha provocato la peggiore caduta di stile del vecchio piazzista di pozioni magiche, che ha perso la calma e ha letto una velina (quella della sparata contro il vicedirettore del Fatto) della quale anche lui si vergognava un po', visto che ne ha disconosciuto la paternità ripetutamente. Hanno vinto la Innocenzi e la Costamagna, che lo hanno messo in crisi più volte (ma quanti hanno saputo apprezzare le gaffe che hanno fatto emergere sull'Imu e la Bundesbank?), ha vinto il pubblico in sala che è stato abbastanza composto almeno fino alla sparata contro Travaglio.
Berlusconi sapeva benissimo di doversi sottoporre a un mezzo martirio, per uno come lui che non è abituato al contraddittorio ed era visibilmente nervosissimo, pieno di tic e di sorrisi forzati. Si è imposto il passaggio sotto le forche caudine e ne è uscito abbastanza a pezzi (memorabili i filmati di Brunetta e Tremonti che sbugiardavano le sue cazzate galattiche e dei dipendenti Mediaset di Roma trasferiti a Cologno Monzese).
Mi viene in mente qualcuno che invece a farsi grigliare da Santoro e Travaglio sulle candidature impresentabili del suo partito e sulle sue amicizie un po' chiacchierate non ci andrà.
Il segretario del Pd.
Etichette:
marco travaglio,
michele santoro,
servizio pubblico,
silvio berlusconi
mercoledì 9 gennaio 2013
Niente posti letto in ospedale? Rapidi ed invisibili arrivano i sommergibili
Mentre a Roma le ambulanze restano ferme negli ospedali perché mancano i posti letto e la gente rimane sulle barelle al pronto soccorso, il ministro tecnico della Sanità, Renato Balduzzi, non sa che pesci prendere e chiede "una relazione urgente" sull'emergenza, mentre il direttore del servizio 118 di Roma ha inviato la stessa lettera anche
al sindaco, al prefetto, al questore di Roma e alla Regione Lazio.
Siamo arrivati a questo, un po' per colpa della dissennata gestione della sanità, soprattutto nel Lazio (dove gli ultimi tre governatori sono stati il patetico residuato fascista Storace, il cocainomane con il vizio dei trans Marrazzo e la coattissima Renata Polverini travolta da figuracce senza fine), ma anche del governo nazionale dei tecnici che non riparano un tubo, che hanno messo mano alle forbici senza neanche sapere cosa esattamente stavano tagliando.
Dice, c'è la crisi. E come no.
Infatti l'Italia è così in crisi che può pemettersi di spendere per due sommergibili (!!) di ultima generazione, gli U-212 della classe Todaro, costruiti dalla solita Finmeccanica (l'azienda italiana che vanta il maggior numero di manager indagati e condannati a vario titolo) insieme ai tedeschi della Thyssen Krupp (quei simpaticoni dell'acciaieria di Torino).
Costano quasi 1 miliardo di euro che sommato a un altro miliardo già speso per altre due unità già entrate in esercizio e con base a Taranto fanno 2 miliardi di euro. Dopo i 900 milioni di euro buttati nel gabinetto per finanziare le missioni all'estero (tanto per avere qualche cadavere da spendere sul tavolo della Nato) e la follia degli F-35, la legge di stabilità del governo Monti contiene anche questa ultima perla.
La Marina italiana (notoriamente impegnata in fondamentali operazioni per la sicurezza nazionale, tipo che so, la pesca di frodo) ha già due di questi "mostri", acquistati fra il 2006 e il 2007 e nel 2009 ha dato il via alla costruzione di altri due U-212.
Che cosa diavolo ci dovremmo mai fare con questi sommergibili a lungo raggio capaci di trasportare testate nucleari? Attacchiamo il Marocco? Ci difendiamo dai temibili algerini?
Che cosa diavolo ci dovremmo mai fare con questi sommergibili a lungo raggio capaci di trasportare testate nucleari? Attacchiamo il Marocco? Ci difendiamo dai temibili algerini?
Tanto per dare un senso della misura di questa nuova follia, due miliardi di euro sono la metà del gettito dell'Imu sulla prima casa, quella tassa che il professore targato Rotary-Bocconi ha detto che proprio non si può abolire (salvo poi cianciare di un possibile abbassamento di un punto della pressione fiscale, che varrebbe 15 miliardi, ovvero quattro volte il balzello sulla casa che abitate). E sia chiaro che a favore di questo schifo hanno votato tutti, da destra a sinistra.
Invece di cercare di far riprendere i consumi, ingrassiamo i mercanti di morte.
I cattolici del governo, sempre pronti a menarla con i matrimoni gay, l'aborto e il divorzio, che dicono di questa roba? Che ne pensa il papa, convinto che il secolarismo sia il male assoluto, dei soldi spesi in armamenti?
I cattolici del governo, sempre pronti a menarla con i matrimoni gay, l'aborto e il divorzio, che dicono di questa roba? Che ne pensa il papa, convinto che il secolarismo sia il male assoluto, dei soldi spesi in armamenti?
Iscriviti a:
Post (Atom)