martedì 18 settembre 2012

Dove fuggirà Marchionne se neanche in Serbia produce macchine competitive sul mercato?

Per credere alla favola di "Fabbrica Italia" raccontata dal manager col maglioncino, Sergio Marchionne, un paio di anni fa bisognava essere molto ingenui, come forse è stato qualche sindacalista, o molto in malafede come sicuramente erano tutti gli esponenti politici che ne tessevano le lodi, soprattutto quelli del Pd (un po' tutti, da Fassino a Renzi, da D'Alema a Chiamparino). Perché già due anni fa era chiaro a tutti che la Fiat dall'Italia se ne sarebbe lentamente andata, a cercare fortuna altrove, scommettendo su Stati Uniti e paesi dell'ex terzo mondo in ascesa, come il Brasile. 
Oggi, che cala il sipario sui quei venti miliardi di investimenti promessi (e per abboccare bisognava proprio assomigliare al turista americano al quale Totò vende la Fontana di Trevi) fa rabbividire il confronto in edicola fra la Repubblica, che fa parlare il manager (l'unica notizia che ci dà è che non compra più le Tod's dopo che Della Valle gli ha fatto il contropelo) e il Fatto Quotidiano che ci racconta dove andrà a finire la produzione Fiat (in Serbia, dove pagano gli operai 350 euro al mese per 40 ore di lavoro settimanali più un po' di straordinari gratis se lo chiede il capo). 
Il bello è che in Serbia per ora producono solo la 500 L e non riescono a venderla a meno di 14.500 euro, mentre uno dei loro competitor (oh yeah) come la Citroen C3 è ormai scesa sotto i 10 mila. 
Ecco, sono questi i manager in Italia.

lunedì 17 settembre 2012

Daje de tacco, daje de punta... la Polverini resta a galla come la sòra Assunta

E' il grande successo del federalismo, che da noi ovviamente non assomiglia all'organizzazione dei lander tedeschi, ma a una specie di ridicola esibizione dei propri campanili e delle proprie ignoranze. E così, dopo la incredibile sequela di arresti, accuse, denunce che hanno fatto della Lombardia la regione più indagata d'Italia, grazie anche al prezioso contributo del Pd e del suo campione Filippo Penati, ecco farsi avanti con orgoglio il Lazio, che dopo i trionfi elettorali della destra burina, fra Anagni, Rieti e Frosinone e tutta la loro paccottaglia di finta socialità, annega nel tragicomico, con l'ex attacchino obeso del Msi che diventa manovratore di ingenti somme, con le quali paga pranzi e cene a porci e cani, salvo poi venire scaricato alla grande.
In puro stile italico, manco a dirlo, nessuno pensa nemmeno a dimettersi. Dopo Formigoni che nega pure l'evidenza e va all'attacco minacciando querele ai giornali che raccontano le sue vacanze da sogno a bordo degli yacht messi a disposizione da chi beneficiava dei provvedimenti della giunta, ecco Renata Polverini, che abbigliata come un gelataio fuori stagione adotta un  profilo diverso e chiede scusa, come se fosse un passante qualunque e non il capo della banda.
Il lessico? A metà fra l'arroganza qualunquista di un Alberto Sordi e la coattaggine delle due ragazzine di Ostia, quelle de "er calippo e la bìra". Sguaiata e patetica, come tutti gli ex missini della capitale, dalla ministra dei ggggiovani, Giorgia Meloni, a Rampelli, passando per Storace, Gasparri e il sindaco Alemanno
Si è chiuso un altro ciclo, come al solito in farsa.

martedì 4 settembre 2012

Il cardinal Martini, più gesuita che rivoluzionario

Il fatto che tante persone abbiano reso omaggio al cardinal Carlo Maria Martini è sicuramente positivo, anche se ai suoi funerali in prima linea c'erano i potenti mentre la gente comune resta come al solito fuori dal sagrato. Le sue posizioni in contrasto con i dettami oscurantisti e ufficiali del Vaticano erano note a tutti, fino all'ultima intervista sul Corriere della Sera nella quale ha sostenuto apertamente che la Chiesa cattolica è "indietro di 200 anni". Ma quest'aurea di Che Guevara che vorrebbe cucirgli addosso qualcuno è francamente ingiustificata.
Analizzando fino in fondo le cose dette da quest'uomo gentile e pacato, non si può non notare che sono comunque ben poca roba rispetto a quelle che dovrebbero essere le legittime ambizioni di una società moderna. Tanto per citare alcuni aspetti più interessanti, andrebbe ricordato che sulle unioni gay aveva la stessa posizione dei cattolici alla Rosy Bindi, quella del sì alle unioni civili e del no ai matrimoni (molto pilatesca, visto che in Italia le unioni civili non portano agli stessi diritti delle coppie sposate, che poi è quello il nodo del problema). Come tutti i preti poi aveva l'ossessione per il sesso, per cui approvava la coppia gay solo nel caso di "amicizia duratura e fedele tra due persone" (di trombare ovviamente non se ne parla). 
Nel caso del preservativo, come difesa dalle malattie, disse che "certamente l'uso del profilattico può costituire, in certe situazioni, un male minore" (un male????), ma ovviamente non lo aveva sdoganato come semplice mezzo anticoncezionale per una sessualità consapevole. E come ricorda oggi Massimo Fini su il Fatto, il nostro cardinale è diventato vescovo di Milano nel 1979 e solo 13 anni dopo, in piena Tangentopoli ormai conclamata, denunciò il malaffare e la corruzione che imperversavano nella sua diocesi, dove era frequentemente a contatto con politici e amministratori che procedevano al saccheggio della città senza aver mai battuto ciglio prima dell'arrivo del pool di Mani Pulite.
Colto, non assetato di sangue come la gran parte dei suoi simili, non accecato dal furore ideologico che contraddistingue i cattolici oltranzisti, probabilmente anche emarginato per questo, ma alla fine era solo un gesuita, non certo un rivoluzionario. E a differenza di tanti poveri cristi come Piergiorgio Welby ha potuto evitare ogni accanimento terapeutico.