martedì 28 febbraio 2012

Scuole private fra lavoro nero e scarso livello culturale, altro che servizio al paese

La precisazione con la quale Mario Monti ha subito assicurato il Vaticano che le scuole paritarie non dovranno pagare l'imposta comunale sugli immobili ha scatenato un coro di ridicolo plauso, con tutti i soliti noti a sottolineare il presunto "servizio" reso allo Stato da questi istituti, i quali avranno in sostanza l'unico obbligo di reinvestire eventuali utili in attività didattiche per evitare di pagare la tassa. La tesi è abbastanza singolare, perché di certo la prima casa di un cittadino non produce alcun guadagno, anzi è solo una enorme voce di spesa, eppure saremo tutti obbligati a pagare l'Imu lo stesso. Che dire poi di un'attività commerciale qualunque? Se un negozio chiude il bilancio in rosso può chiedere l'esenzione? O se reinveste gli utili nell'ampiamento del suo business?
Tralasciando questi aspetti di filosofia fiscale, basta solo dare uno sguardo ai numeri delle scuole private in Italia (il 57% delle quali cattoliche) per capire che sarebbe meglio investire di più in quelle pubbliche. Manco a dirlo il finanziamento diretto dello Stato alle paritarie lo ha approvato il governo di quel gran genio di Massimo D'Alema, con i contributi che sono poi progressivamente aumentati nel corso degli anni fino a raggiungere nel 2005 i 500 milioni di euro. Se a questi aggiungiamo anche i soldi dei buoni-scuola e delle altre amministrazioni locali (stimata in circa 400 milioni di euro), gli oltre 53 milioni di euro destinati dalla legge 243/1991 alle cinque università cattoliche (oltre 83 milioni contando anche quelle private laiche) e il miliardo e mezzo di euro che ci costa l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (con tutto il rispetto, ma non si potrebbero assumere un po' di insegnanti di inglese invece di questi ragazzotti pure un po' sprovveduti approvati dalla Curia che imperversano nella scuole di ogni ordine e grado?), si noterà che il costo per le casse dello Stato non è affatto roba da poco.
Ma poi, la scuola privata, cosa dà in cambio? Secondo l'Ocse gli studenti delle scuole private sono meno preparati di quelle pubbliche. Secondo l'Istat, nelle scuole private italiane c'è un sacco di lavoro nero: nel 2008 i dipendenti irregolari nel settore dell'istruzione privata erano 17.200 mentre nel 2009 si è passati a 19.000 (+10,5%). 
E per finire, quanto spende lo Stato per l'istruzione? Sempre secondo i dati dell'Ocse nel 2008 il 4,8% del pil, ovvero 1,3 punti percentuali in meno rispetto alla media del 6,1% (posizionandosi al ventinovesimo posto su trentaquattro Paesi). Fra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta per ogni studente è aumentata solo del 6% (rispetto alla media Ocse del 34%). E gli stipendi degli insegnanti sono addirittura scesi dell'1%, contro un incremento medio del 7% negli altri paese.
Proprio un bel servizio.

lunedì 27 febbraio 2012

L'Ici alla Chiesa? Non era una cosa seria

La storia che anche la Chiesa avrebbe dovuto pagare l'imposta sugli immobili non poteva mica essere una cosa seria. Tirata per il collo solo per evitare la solita procedura di infrazione da parte della Ue, la norma sulla quale il presidente del Consiglio Mario Monti ha avuto anche bisogno di riflettere a lungo è in realtà un alambiccato giro di parole nel quale il Vaticano non viene mai citato, ma solo le organizzazioni no-profit in senso lato. Si rimanda poi a un regolamento del Ministero dell'Economia che dovrà stabilire se in un certo edificio sia prevalente l'attività commerciale o quella non commerciale. Una roba che definire all'acqua di rose era già un eufemismo. 
Naturalmente non va bene neanche così. Subito sono insorti preti e politici amici a sottolineare il sacro ruolo della scuola cattolica italiana e oggi già le dichiarazioni di Monti e Profumo sono molto più concilianti e tendono ad escludere dal pagamento le scuole paritarie "non commerciali". Anzi, tanto per stare tranquilli arriva subito il solito democristiano riciclato nel Pd a garantire con un emendamento che le scuole non pagheranno un centesimo. 
E qui ricasca l'asino. 
Sostenere infatti che le scuole cattoliche rendono un servizio allo Stato e che sono aperte a tutti è un modo di ragionare assai singolare. Perché i programmi saranno anche quelli delle altre scuole, ma è chiaro che l'aspetto confessionale diventa primario. Non solo: i salesiani sostengono di non essere una scuola di elite perché chiedono solo 3.300 euro l'anno a studente  per medie e scuole superiori, aggiungendo che lo Stato risparmia molti soldi perché per lo stesso studente spenderebbe il doppio. Non è chiaro a quali dati facciano riferimento, forse a quelli delle spese complessive statali per la scuola (peraltro ampiamente sforbiciate), un bilancio che non è che scende a seconda del numero degli alunni ed è fortemente condizionato da sprechi clientelari. Ma poi a 3.300 euro l'anno è onesto dire che le loro scuole sono aperte a tutti in un paese dove il salario medio supera di poco i 20 mila euro lordi? 
No, non è onesto.

giovedì 23 febbraio 2012

I manager pubblici più pagati? Sbirri, guardie e militari

Poi dice che uno pensa male. Ma se nella lista dei guadagni dei manager di Stato compaiono ai primi posti quasi solo sbirri, secondini e militari qualcosa vorrà dire, o no? 
Al primo posto c'è il capo della polizia, con l'incredibile cifra di oltre 600 mila euro l'anno e fra i primi quindici, fatta eccezione per un paio di tecnici dell'economia, figurano il capo dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il capo di stato maggiore della Difesa, il capo di stato maggiore dell'Esercito, il capo di stato maggiore della Marina, il comandante dei carabinieri, il capo di stato maggiore dell'Aeronautica e il segretario generale della Difesa.
Un paese militarizzato, da sempre e per sempre, peraltro con scarsissimi risultati.

mercoledì 22 febbraio 2012

Il sobrio governo dei milionari fa tornare in auge la lotta di classe

Il più grande avversario dei comunisti, il cavalier Banana, ha aperto la strada al ritorno della lotta di classe nel nostro paese. Anzi, direi addirittura alla sua legittimazione. Che cosa pensare infatti di fronte al livello dei guadagni degli attuali ministri del sobrio governo, che hanno finalmente messo on-line con una certa riluttanza tutte le voci della loro dichiarazione dei redditi? 
Salutata come una novità (ma non lo è granché, visto che se fossero stati dei parlamentari come i loro predecessori i loro redditi sarebbero stati comunque pubblici), la sfilza delle ricchezze possedute dai tecnici fa una certa impressione. Questo gruppo di autonominati guadagna in un anno dai 120 mila euro del più povero (il cattolicissimo Andrea Riccardi che però da ministro supererà i 200 mila) fino ai sette milioni del più ricco, la principessa del Foro Paola Severino, che ha nel suo portafoglio altri 4 milioni di euro di titoli e la proprietà di tre o quattro appartamenti principeschi, passando per i 3,5 milioni del banchiere Corrado Passera.  
Si tratta davvero di livelli giusti per dei professionisti, quasi tutti beneficiari di incarichi o consulenze pubbliche, visto che poi sono loro quelli che dovrebbero decidere del futuro di milioni di famiglie ridotte alla canna del gas? Qualche illustre commentatore che guadagna come loro ci avverte subito che l'invidia è una brutta bestia e che l'ideologia, bontà loro, fa male alla pelle. Ma al di là dell'invidia, pure legittima tutto sommato perché questa è gente che appartiene a una specifica classe per diritto di nascita più che per meriti propri, quando qualcuno non ha i soldi per poter portare la famiglia a mangiare una pizza e si sente chiedere dei sacrifici da un presidente del Consiglio che guadagna 1 milione e mezzo di euro, è proprietario di mezza Varese, con case a Milano e Bruxelles e ha 11 milioni di euro investiti in titoli, hai voglia ad avvertirlo che sta ricadendo nell'ideologia. 
Uno si incazza e basta, anche se non ha letto Marx.

martedì 21 febbraio 2012

Articolo 18 e altre amenità, i fannulloni che vogliono licenziare i fannulloni

La parola d'ordine è licenziare i fannulloni. Chi potrebbe mai non essere d'accordo con un programma di siffatta statura politica, che solo un governo di tecnici così bravo, bello e buono come il nostro poteva mettere in piedi. Un grido di battaglia sullo stile "signora mia non ci sono più le mezze stagioni", un argomento da salotto per il tè coi pasticcini delle cinque, il diversivo preferito di chi la meritocrazia non l'ha proprio mai dovuta sperimentare. 

Premesso che il fannullone che non viene licenziato in Italia è spesso protetto da qualcuno, perché le leggi per mandare a casa una persona che non fa il suo lavoro ci sono eccome, fa rabbrividire il pulpito dal quale arrivano simili strali. Citando i più recenti, dopo quello della ministra-madonnina piangente, c'è sempre l'ottimo Wa(l)ter Veltroni, l'uomo che ha tenuto in vita il Caimano ormai comatoso, e che con la complicità di Repubblica ogni tanto cerca disperatamente di riemergere dalla pozza nel quale lo hanno infilato gli elettori di centrosinistra (c'è gente che quando lo sente nominare si fa il segno della croce anche se è atea). 
Intervistato dal solito giornalista compiacente (ditemi voi che valore aveva una paginata intera di corbellerie da dedicare a questo vecchio arnese della politica), Veltroni si è espresso sull'articolo 18 tanto per rompere un po' i coglioni alla sinistra del partito e poi, siccome è fesso, si è fatto anche uscire di bocca di quando discuteva con D'Alema "se far vivere o morire il governo Prodi". Il professore, che magari era anche più antipatico di Monti ma almeno ha vinto due volte le elezioni, ha definito l'intervista "agghiacciante". 

Forse è un po' troppo, bastava dire "ridicola". Perché l'uomo che parla di modernità e di flessibilità nel lavoro è uno che non ha mai lavorato e fa il politico, con alterne fortune, dal 1976 quando fu eletto consigliere comunale a Roma. Ed è ancora lì, nonostante un gradimento bassissimo e il giusto isolamento politico al quale si è condannato, dopo aver subito batoste politiche che in un paese normale avrebbero cancellato chiunque. Ogni tanto lo riesumano, così, per fare un po' di caciara. I vecchi amici non dimenticano.
Oggi è il giorno di Emma Marcegaglia. La presidente di Confindustria pretende il diritto di "licenziare quelli che non fanno il loro lavoro", perché anche lei è una che di lavoro se ne intende. Figlia del più grande industriale dell'acciaio italiano, laureata alla Bocconi (e figuriamoci), master a New York (dove è chiaro che ci vai se qualcuno ti paga il soggiorno), ha "lavorato" solo nelle aziende del papi, dove non è che si vada per il sottile quando c'è da sottrarre un po' di soldi al fisco.

Ecco. Questi sono i nostri modelli. I tecnici milionari, le dinastie padronali, i politici di professione che ruotano come banderuole. Sembrano quei vecchi imbroglioni che vendevano i rimedi miracolosi nel selvaggio West e poi finivamo coperti di pece e piume. Più che di fannulloni, qui ci sarebbe da fare un repulisti di ciarlatani.

mercoledì 15 febbraio 2012

La difesa e il gioco delle tre carte, l'unica cosa che Monti non taglia sono le spese militari

Il robotico Mario Monti ha fatto sicuramente bene a negare i soldi per le Olimpiadi a Roma, considerando la consueta fine dei fondi pubblici. E la canizza orchestrata dalla destra, che si è stracciata le vesti parlando di "danno all'immagine dell'Italia", fa veramente ridere ripensando a quello che i loro sodali hanno combinato ai recenti Campionati mondiali di nuoto a Roma, con il centro sportivo di Tor Vergata costato un occhio della testa e non ultimato per tempo. Speravano di riciclarlo per le Olimpiadi per continuare ad ingrassare i costruttori (i costi sono saliti da 65 a 608 milioni di euro) e invece resterà la solita cattedrale nel deserto che tutti quelli che transitano per il tratto autostradale Roma-Napoli si chiedono increduli cosa diamine sia. 
Però, nello stesso giorno in cui si ammette che non c'è un euro da spendere e che soprattutto non si è in grado di governare un banale sistema di appalti, è triste assistere al gioco delle tre carte del ministro-soldato Giampaolo Di Paola, che essendo di Torre Annunziata lo sa fare molto bene. Ieri in una breve conferenza stampa a Palazzo Chigi (di quelle all'italiana, senza domande che danno fastidio) aveva ventilato riduzioni di spesa in un settore che, purtroppo, non le ha mai subite. Oggi, davanti alle Commissioni parlamentari, ha svelato l'arcano: si ridurrà il personale, si ridurranno le strutture, si compreranno quaranta F-35 in meno (90 invece di 131), ma alla fine i soldi per la Difesa ci saranno tutti, senza un centesimo di risparmio, stavolta orientati verso l'industria invece che sul personale (come da ordine Nato). 
Come sottolinea la Rete italiana per il disarmo, Di Paola ha anche fornito dati falsi. Secondo lui l'Italia spenderebbe per la difesa solo lo 0,9% del pil contro l'1,6% della media europea, ma con furbizia oserei dire marziale nel conteggio non vengono mai considerati i fondi delle missioni all'estero e quelli messi a disposizione dell'industria militare da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, sottostimando le spese complessive sempre e stabilmente oltre i 21 miliardi di euro l'anno.
In un'epoca in cui ci vengono giustamente tolti i circenses, ma pure il panem (viste le misure di austerity varate dal governo attuale e le deliranti anticipazioni sui provvedimenti del futuro, stile spezzeremo le reni all'articolo 18) è un sollievo sapere che i fondi per la guerra non mancheranno mai.  Santa, la guerra.

mercoledì 8 febbraio 2012

Giochiamo a fare la guerra? Ora c'abbiamo anche il "tecnico"

Quando dico che siamo l'unico paese democratico del mondo che ha messo un militare a fare il Ministro della Difesa, qualcuno mi guarda un po' stranito. "Eh, vabbè. Sei il solito esagerato... questi so' tecnici, no?". Spiegare a chi non li ha mai visti quali sono i pesi e i contrappesi dei poteri in una nazione civile, è tempo sprecato. Fra l'altro, l'ultima volta era successo (sempre qui da noi) nel 1995, quando il generale Domenico Corcione entrò a far parte del Governo Dini, altro esecutivo figlio di nessuno messo su nell'interesse di tutti dopo il primo capitombolo di re Silvio.  Ma insomma, dopo aver preso per i fondelli per tre anni il patetico Ignazio La Russa, detto "sciaboletta", adesso ci ritroviamo questo ammiraglio, Giampaolo Di Paola, che ha fatto tutta la carriera all'interno della NATO

Il "tecnico" della guerra nel 2002 (governo Berlusconi) con la qualifica di Direttore Nazionale degli Armamenti firmò al Pentagono il pro-memoria d'intesa che impegnò l'Italia alla partecipazione del programma F-35, per l'acquisto di 131 cacciabombardieri. Guarda caso è salito alla guida delle forze armate proprio nel momento in cui ci tocca "onorare" l'impegno. 
Oggi al Quirinale si è riunito il Consiglio Supremo di Difesa, sotto la presidenza di Giorgio Napolitano, al termine del quale è stato emesso il solito sibillino comunicato in cui si parla di "rimodulazione", ''laddove consentito'', di alcuni ''significativi programmi di investimento''. Sia come sia, il taglio non riguarderà i mitici caccia, visto che ieri il direttore nazionale degli Armamenti , il generale Claudio Debertolis, davanti alla Commissione Difesa della Camera ha annunciato l’acquisto dei primi tre  F-35 alla modica cifra di ottanta milioni di dollari al pezzo, per un totale di 240 milioni di dollari (circa 180 milioni euro). Non solo. Il generale ieri ha detto chiaramente che tutto questo non porterà neanche un posto di lavoro in Italia, dove l'azienda del settore, la Finmeccanica, continua a tagliare i dipendenti. Il che, di questi tempi, è davvero un successo.

Ma non basta. Perchè come diceva un personaggio di un bellissimo film italiano (Il giocattolo), un cristiano non lo ammazzi quando spari ma quando ti compri la pistola. E infatti, visto che adesso c'abbiamo gli aeroplanini nuovi, usiamo quelli vecchi per giocare a fare la guerra. Nel comunicato del Consiglio Supremo, si parla genericamente  della "necessità di proseguire nel processo già in corso volto a qualificare ulteriormente i contributi garantiti alle missioni internazionali", non spiegando se si andrà avanti con la proposta del ministro-soldato, che vuole che i nostri AMX impiegati in Afghanistan partecipino, con orgoglio tutto nazionale, ai bombardamenti sulla testa della popolazione, con la scusa che "dobbiamo difenderci"

Peccato che l'ultimo rapporto della Missione Onu in Afghanistan ci abbia appena ricordato che i civili continuano a pagare il conto di questo Risiko per novelli dottor Stranamore, con oltre tremila morti nel 2011, un terzo dei quali caduti sotto le bombe della Nato. Ma noi, vuoi mettere, abbiamo il tecnico.

lunedì 6 febbraio 2012

Figli e posto fisso, quando la mamma fa il Ministro e poi parla di lavoro

In effetti era impossibile che al robot Mario Monti fosse davvero sfuggita quella frase sul posto fisso. Con quell'aria da coniglio mannaro (come veniva chiamato l'ex Dc Forlani), il Professore sa sempre bene quello che dice e quello che vuole (o meglio, quello che vogliono coloro che lo hanno messo lì). E così, non soddisfatti del casino provocato sottolineando la "monotonia del posto fisso" in un paese che ha oltre un terzo dei giovani disoccupati, oggi i membri di questo governo-Frankestein sono tornati a fare gli spiritosoni. 
Prima ci ha pensato Anna Maria Cancellieri, che da ministro dell'Interno ha dato la colpa del caos provocato dal maltempo in Italia ai sindaci e ha preferito tornare sull'argomento (assolutamente non di sua competenza), rincarando la dose: "Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà". 

Alè, maledetti bamboccioni, beccateve pure questa. Non siete contenti? E allora eccovi pure la madonnina piangente Elsa Fornero, ministro del Lavoro (possibilmente precario): "Bisogna spalmare le tutele su tutti, non promettere il posto fisso che non si può dare. Questo vuol dire fare promesse facili, dare illusioni". Roba da farsi venire l'orticaria. Perché poi, se uno parla di certe cose arriva sempre qualche saputello che ti accusa di complottismo. Ma insomma, come si fa a stare zitti quando c'è un paese allo stremo e a parlare di lavoro è gente così? 

Una pensionata richiamata in servizio, il cui figlio non ha avuto bisogno di restare vicino alla mamma, perché è un alto dirigente di Unicredit, recentemente nominato alla direzione generale di FonSai, la compagnia controllata dalla famiglia Ligresti sull'orlo del fallimento, e la professoressa che insegna nella stessa facoltà del più celebre marito, insieme pure alla figlia, oltre a essere stata vice presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo, come fanno ad avere la faccia di pronunciarla anche soltanto la parola flessibilità? 

Lo fanno perché sono lì per questo. Dare vita alla macelleria sociale, ricompattando una destra senza più il clown Silvio, che va dal Pdl a Fli, passando per Udc e rutelliani. Dite che qualcuno a sinistra se ne renderà conto?

giovedì 2 febbraio 2012

Borghesia e posto fisso, che noia sempre le stesse fesserie!

Che poi io alla fine non ce l'ho con Mario Monti di per sè. In confronto alla media dei nostri politicanti è sicuramente un pezzo avanti, magari perché qualche libro lo ha letto davvero. Però, accidenti che enorme minchiata che è riuscito a dire ieri sera  a Matrix. Dopo aver fatto un ragionamento sul quale si poteva anche discutere, sottolineando che i giovani dovrebbero abituarsi all'idea che il posto fisso, in questo momento storico, è solo una chimera, il professore, invece di ammettere che questo è un errore, figlio dell'avidità dei datori di lavoro che hanno sfruttato legislazioni sbagliate (per la maggior parte varate dal centrosinistra) per precarizzare i propri dipendenti fino alla schiavitù (perché gli stagisti non pagati, tanto per fare un esempio assai diffuso, schiavi sono), se ne è uscito con una frase che definire infelice è un eufemismo stile Tg1. "Il posto fisso? Che monotonia".
Sono sempre così, i borghesi, e lo dico con cognizione di causa, perché ne faccio parte a pieno titolo. Tronfi, al punto di considerare propri assoluti meriti le condizioni sociali in cui sono cresciuti, belli grassi e lerci (come cantava Giorgio Gaber). Per uno come Monti, che è figlio di un direttore di banca e nipote di un alto funzionario del più importante istituto di credito dei tempi, laureato alla Bocconi e che dall'81 ricopre incarichi pubblici per i quali è stato nominato in virtù delle sue amicizie politiche, il posto fisso è sicuramente una noia. Membro delle commissioni parlamentari che indagavano sul debito pubblico alla fine degli anni ottanta (con evidenti scarsi risultati), è stato vicepresidente della Comit (la banca del nonno, pubblica) e poi nominato da Silvio Berlusconi commissario europeo. Confermato alla Ue da Massimo D'Alema, il professore ha poi integrato il suo stipendio con lucrose attività private, come international advisor per Goldman Sachs, la banca d'affari incriminata per frode dalla SEC, l'autorità di controllo della Borsa statunitense.

Al di là delle sue reali capacita, che non sta a me discutere, quest'uomo è convinto di aver fatto strada grazie alla sua bella faccia? E può onestamente dire a generazioni di persone alla disperata ricerca di un lavoro che il posto fisso è "una noia"?
Beh, se mi posso permettere, visto che sono un borghesotto con il posto fisso, io non mi sono annoiato manco per il cazzo. Grazie al mio bel contratto a tempo indeterminato, acquisito quando avevo solo 23 anni, mi sono comprato due case (la seconda dopo che ho venduto la prima, non faccio il tesoriere della Margherita), ho messo su famiglia (due figli, come i miei genitori e i miei nonni, il Vaticano sarebbe contento) e sono riuscito ad avere una vita anche fuori dal lavoro, grazie alla malattia e alle ferie pagate.
La verità è che gli amici di Monti (e tutti sanno benissimo chi sono) hanno un disperato bisogno della precarizzazione per continuare ad ingrassare felici. E per il professore ci sarà sempre un nuovo bell'incarico pubblico.

mercoledì 1 febbraio 2012

Il boy-scout in fuga col malloppo, ennesima storia di un partito sbagliato

Se qualcuno aveva ancora dei dubbi sulla incredibile idiozia politica che fu quella di mettere insieme gli ex-Pci con gli ex democristiani di (finta) sinistra, dovrebbe esserseli finalmente tolti scoprendo la storia di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita scappato con la cassa (13 milioni di euro). Un simpatico personaggio che nella sua biografia scrive di aver ricoperto "diverse funzioni con incarichi da dirigente, il più importante dei quali, dal 1989 al 1994, mi ha visto Segretario generale dell'Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani". Fondamentale, direte voi. 

Molto di più, in realtà, ha contato la sua amicizia con Ciccio Rutelli, ex "agitatore" di centri sociali (quando gli servivano i voti contro Fini per la corsa al Campidoglio) poi convertitosi al Papa Re, che lo ha portato - con la legge Porcellum - all'elezione a senatore nel 2006 e nel 2008 grazie solamente al suo posto in lista. I lungimiranti vertici della Margherita gli hanno affidato i cordoni della borsa e quello, giustamente, si è comprato un appartamento in pieno centro a Roma e una bella villa a Genzano. Alla fine pure un benefattore, perché dei 13 milioni rubati al partito (una volta si rubava "per" il partito, siamo un passo avanti, no?), cinque milioni sono tornati alle casse dello Stato sotto forma di tasse sulle compravendite immobiliari. 

Oggi c'è anche chi rivela che Lusi fu stranamente avaro nel concedere i fondi per la campagna elettorale del 2006, sostenendo che il vantaggio di Prodi su Berlusconi era già abbastanza consistente per sprecare ulteriori soldi. Poi si sa come è andata a finire, con il sostanziale pareggio che ha fatto avvitare su se stessa tutta la politica italiana, condannandoci a due anni di ricatti di Mastella e altri tre di bunga-bunga.
Naturalmente, ora cascano tutti dalle nuvole, nonostante le magagne finanziarie fossero evidenti fin dai tempi della "fusione a freddo" di Ds e Margherita decisa da Wa(l)ter Veltroni nel 2007 e hanno cacciato Lusi dal Pd con parole di sdegno e sorpresa. 
Mai fidarsi dei boy-scout.