lunedì 30 luglio 2012

L'obiezione di coscienza dei medici? Sì del Comitato Nazionale di Boetica guidato ovviamente da un professore della Cattolica

Per affermare in Italia il principio dell'obiezione di coscienza ci sono voluti decenni di battaglie che a molte persone sono costate anni di carcere, fino a una legge del 1972 che regolamentò la vicenda consentendo a coloro che non volevano utilizzare le armi di svolgere il servizio civile al posto di quello militare. Ma si è dovuti arrivare al 1998 perché l'obiezione di coscienza venisse considerata un diritto della persona e non una gentile concessione dello Stato. 
Oggi che il servizio militare non è più obbligatorio, di obiettori si parla per descrivere il singolare atteggiamento di medici e farmacisti cattolici (?), che si rifiutano di praticare l'interruzione volontaria di gravidanza o di vendere anticoncezionali o pillole del giorno dopo. Il bello però è che, a differenza di coloro che non volevano fare i soldati, questi vogliono continuare a esercitare la loro professione pur imponendo il loro credo religioso senza che ci siano conseguenze giuridiche. 
Il medico avrebbe infatti l'obbligo di prestare comunque assistenza sanitaria se manca un sostituto. Se a una donna non viene effettuata l'interruzione di gravidanza, il medico rischia la radiazione dall'albo professionale, il licenziamento e l'interessata può chiedere il risarcimento del danno biologico. Ancora peggio l'ostinazione di alcuni farmacisti che si rifiutano di vendere quanto previsto dal servizio sanitario nazionale nelle loro belle boutique dove sono in bella mostra soprattutto cosmetici femminili. 
Oggi a completare l'abominio arriva il parere del Comitato Nazionale per la Boetica di Palazzo Chigi, secondo il quale “l’obiezione di coscienza in bioetica è un diritto costituzionalmente fondato (con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo), costituisce un'istituzione democratica, in quanto preserva il carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali senza vincolarle in modo assoluto al potere delle maggioranze, e va esercitata in modo sostenibile”.
Non si capisce perché, tuttavia, un medico che non è d'accordo con le leggi sulle prestazioni sanitarie debba continuare a fare il medico, né perché un farmacista debba continuare ad avere una licenza pubblica invece di aprire una profumeria. Come se gli obiettori di un tempo avessero preteso di fare i militari senza armi e coi capelli lunghi.  Scegliere di fare un mestiere comporta obblighi ai quali nessuna categoria si può sottrarre, se non pagandone le conseguenze in prima persona. Ma le cose funzionano diversamente in ambito sanitario e i lavori di questo Comitato, del resto, sono stati "coordinati" dal professor Andrea Nicolussi, docente universitario (ma guarda le coincidenze) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. 
Con tutta la faccia di bronzo di cui come al solito questa gente è maestra, il parere del Comitato si chiude con un pilatesco richiamo a "misure adeguate a garantire l’erogazione dei servizi, con attenzione a non discriminare né gli obiettori né i non obiettori, e quindi un’organizzazione delle mansioni e del reclutamento che possa equilibrare, sulla base dei dati disponibili, obiettori e non".
Ecco, date un'occhiata alle statistiche: sono obiettori il 71 per cento dei ginecologi italiani, l'84 per cento in Campania, più dell'80 in Lazio e in Alto Adige. Su 316 ginecologi nel Lazio solo 46 non sono obiettori, e in 9 ospedali pubblici non si fanno interruzioni di gravidanza, come imporrebbe la legge a tutti gli ospedali non religiosi. A Roma è rimasto solo il San Camillo, dove su 21 medici ginecologi i non obiettori sono solamente 3, nonostante gli aborti rappresentino il 40 per cento delle operazioni di ostetricia. 
Ah, naturalmente i medici obiettori sono quelli che fanno carriera e moltiplicano i guadagni. Leggetevi questa testimonianza.

venerdì 27 luglio 2012

L'Ilva di Taranto, storia di una "privatizzazione" all'italiana

Ora cascano improvvisamente tutti giù dal pero, come se se si trattasse di un colpo di scena. C'è chi sciopera e occupa, chi se la prende con gli ambientalisti, chi tenta ancora di declinare qualche assurdo slogan che metta insieme produzione e compatibilità ambientale, c'è chi come al solito se la prende con i magistrati. Ma la decisione di mettere i sigilli per "disastro ambientale" a sei reparti dell'acciaieria Ilva di Taranto è solo l'atto finale di una tipica storia italiana, nonché l'ennesima dimostrazione del fatto che le privatizzazioni, qui a queste latitudini, servono solo a danneggiare aziende e mercati. 
Lo stabilimento è il più grande d'Europa, era di proprietà pubblica, come pubblici furono i fondi che consentirono il risanamento della siderurgia italiana attraverso la messa in liquidazione di Italsider e Finsider. Poi nel 1995, grazie al governo Dini (il "rospo" salito alla guida del paese dopo il primo grande tonfo di Berlusconi) la febbre delle privatizzazioni spinse il governo a svendere l'impianto al Gruppo Riva, un investimento che si è ripagato nel giro di tre anni e che ha consentito a una società nata per commercializzare rottami di ferro (un "rubivecchi", insomma) di diventare il decimo produttore di acciaio al mondo con un fatturato di 8,53 miliardi di euro e circa 25000 dipendenti.
Dalla sua cessione, lo stabilimento di Taranto è finito nel mirino della magistratura per l'alto livello di inquinamento dell'ambiente circostante. Gli impianti dell'Ilva emettevano nel 2002 il 30,6% del totale della diossina sul territorio italiano, ma sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) nel 2006 la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente al trasferimento delle lavorazioni "a caldo" dallo stabilimento di Genova. 
I periti nominati della Procura di Taranto hanno quantificato nel giro di sette anni un totale di 11.550 morti, con una media di 1.650 morti all'anno, soprattutto per cause cardiovascolari e respiratori e 26.999 ricoveri, con una media di 3.857 ricoveri all'anno, soprattutto per cause cardiache, respiratorie, e cerebrovascolari.
Nel febbraio del 2007 Emilio Riva è stato condannato a tre anni di reclusione e Claudio Riva a 18 mesi per omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro e violazione di norme antinquinament. Tale condanna è stata confermata in secondo grado: nel 2008 la Corte d'appello di Lecce ha condannato alla pena di due anni di reclusione il presidente dell’Ilva e ad un anno e otto mesi il direttore dello stabilimento tarantino, Luigi Capogrosso. Da ieri, l'ex "rubivecchi" Emilio è agli arresti domiciliari insieme all'altro figlio, Nicola.
Fine della parabola? Figuriamoci. Di fronte a questo scempio gli industriali (quelli che di solito battono le mani ai loro colleghi che ammazzano la gente) si stracciano anche le vesti, il governo promette soldi (sempre pubblici) per risanare non si sa bene cosa e perfino Nichi Vendola, leader di un partito che si chiama Sinistra, Ecologia (!) e Libertà, ha parlato di "fondamentalismo ambientalista".
E invece è l'ennesima dimostrazione del fallimento delle classi industriale e politica italiana, da sempre a braccetto nel sostenersi a vicenda nelle loro porcate tradizionali e disposte a passare sui cadaveri pur di fare i soldi.

giovedì 26 luglio 2012

Diaz, i poliziotti condannati vogliono pure la scorta

L'orrore in salsa sudamericana di Genova 2001 si arricchisce di nuovi imbarazzanti particolari. Dopo la condanna a regola d'arte (nel senso di studiata a tavolino perché grazie a indulti e sconti di pena nessuno degli imputati scontasse neanche un giorno di galera) di alcuni fra i vertici della Polizia italiana, il Fatto Quotidiano racconta oggi che per due di loro, il capo del dipartimento centrale anticrimine Francesco Gratteri e il capo del servizio centrale operativo Gilberto Caldarozzi, condannati rispettivamente a 4 anni e 3 anni e 8 mesi e interdetti per cinque anni dai pubblici uffici, si parla di uno scorta con tre auto blindate e sei agenti a presidio delle loro abitazioni. Il motivo? I due avrebbero ricevuto minacce ''negli ambienti dell'estremismo, soprattutto attraverso Internet''. 
A chiedere la scorta per questi due campioni delle forze dell'ordine (Gratteri era indicato come il possibile successore di Manganelli alla guida di tutto la Polizia italiana) è del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, che ha chiesto il parere all'Antiterrorismo, sottolineando che il pericolo per loro deriva anche dalla criminalita' organizzata, "visto che Gratteri e Calderozzi hanno condotto operazioni importanti soprattutto contro la camorra". 
E così, invece di farsi un bel giro per le patrie galere per aver avallato una delle pagine più tristi della storia italiana del dopoguerra, i due potrebbero ottenere (ovviamente a spese nostre) un programma di protezione di primo livello che di solito viene concesso solo a figure di primissimo piano dello Stato, mentre magari viene rifiutato ai "rompicoglioni" come Marco Biagi.  Il tutto con un tempismo che, come scrive ancora il quotidiano, ha fatto saltare sulla sedia più di qualcuno al Viminale.

mercoledì 25 luglio 2012

Formigoni, cade la maschera dell'ultimo residuato Dc

Dopo oltre un mese passato a giurare sulla sua innocenza, a paragonarsi a Gesù Cristo sulla croce, a inveire contro i giornali che lo bombardavano ad alzo zero sulle sue pericolose amicizie e la sua passione per il lusso, è finalmente crollata la maschera di gesso dell'ultimo zar cattolico italiano, il "celeste" Roberto Formigoni, noto per la sua dichiarata verginità e per le sue camicie da minorato mentale. La Procura di Milano ha finalmente confermato che il governatore della Lombardia è indagato per corruzione internazionale in concorso con Pierangelo Daccò, il presidente della Fondazione Maugeri Umberto Maugeri, Costantino Passerino, ex direttore amministrativo della Fondazione, Antonio Simone, ex assessore regionale alla Sanità negli anni ’90, e altri. 
I magistrati contestano al governatore fatti commessi a Milano e all’estero tra il 2001 e 2011, ma sono oltre vent'anni che questo tipico personaggio del mondo cattolico italiano imperversa senza freno, legando il suo nome a una serie impressionanten di guai giudiziari e impicci di ogni genere.
Eppure, tutto il viscidissimo apparato di cui si è sempre fregiato di far parte, quello di Comunione e Liberazione, lo ha sempre incensato e benedetto come uomo della Provvidenza. Evidentemente come si mangiava bene con lui...
Chissà quest'anno le risate al penoso meeting di Rimini. Ci sarà ancora la fila per farsi fotografare insieme al modello cartonato di quest'ultimo esemplare di democristiano pescato con le mani nel sacco?

lunedì 23 luglio 2012

Supermario, Carletto Marx e l'economia reale

Di fronte al crollo di tutte le Borse europee e allo spread con i titoli tedeschi tornato sui livelli di quando a Palazzo Chigi c'era ancora il re del Bunga-Bunga, il nostro primo ministro tecnico Mario Monti, in visita in Russia con il solito cappello in mano, ha detto che "proprio la situazione difficile nella quale versa l'Europa e in particolare l'eurozona è per noi motivo in più per cercare rapporti solidi nell'economia reale, industriale e commerciale". 
Sa tanto di Stanislao Moulinsky che getta la maschera. Sì, è vero, i mercati finanziari, le politiche monetarie, le basse speculazioni effettuate da anonimi gestori di fantascientifici capitali (quasi tutti fondi pensione) non hanno nulla a che vedere con l'economia reale. Oggi lo "spettro che si aggira per l'Europa" è quello del capitale finanziario che sta mettendo in ginocchio gli Stati e le economie del Vecchio Continente.
E meno male che Karl Marx è ancora considerato un pensatore sconfitto dalla storia. Sai le risate che si sta facendo alle spalle dei liberisti made in Bocconi.

giovedì 19 luglio 2012

La Bindi e le bugie sui matrimoni gay, lo stile Dc non muore mai

Se c'è qualcuno che ha ancora dei dubbi sul danno causato dalla presenza dei cattolici in politica, dia un'occhiata al filmato del dibattito alla Festa del Pd con la vicepresidente del partito, Rosy Bindi. Dopo la terribile figura fatta in assemblea, dove afferrandosi a cavilli procedurali ha impedito di votare delle proposte sul riconoscimento dei matrimoni fra omosessuali, facendone passare invece una che sembrava scritta dal conte Mascetti di Amici Miei (la celeberrima supercàzzora), la nostra eroina dell'untuosità democristiana ha ancora il coraggio di presentarsi in pubblico per avvalorare delle patetiche bugie. 


Parlando dei matrimoni fra gay, la Bindi ha citato una sentenza della Corte Costituzionale che a suo dire li proibirebbe. Quindi la colpa non è dei cattolici, ma della massima autorità giudiziaria italiana, che secondo questa giurista della domenica ha messo lo stop definitivo a certe richieste "massimaliste" (le chiama proprio così, come se pretendere di vedersi riconosciuto un diritto possa essere considerato massimalista). 
Peccato che, come qualcuno le fa notare dalla platea (subito rimbrottato da un paio di vecchi arnesi del partito che fu), tutto questo non sia affatto vero e che la Corte abbia semplicemente detto che per il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sesso è necessario un intervento legislativo e non sia possibile estenderlo automaticamente. 
Il che significa che se in Parlamento ci sarà una maggioranza disposta a votare una legge che stabilisca finalmente che il diritto di famiglia non può essere discriminante nei confronti delle coppie gay, la Consulta non avrà niente da ridire, visto che l'articolo 29 della Costituzione non sancisce affatto che il matrimonio debba essere necessariamente fra un uomo e una donna. 


Attualmente due persone dello stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio in molti paesi "normali", come Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo, Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Argentina, Messico (anche se solo nella capitale) e in sei stati degli Usa, più un settimo, la California, dove la legge è attualmente sospesa. In quasi tutto il mondo occidentale sono almeno riconosciute le unioni civili e noi siamo gli unici che non hanno assunto alcuna posizione in materia, proprio grazie alla costante pressione sui nostri politici mezze tacche esercitata dal Vaticano.
Oggi, schierarsi in un partito "progressista" e mentire agli elettori su un argomento del genere, anche dopo le recenti prese di posizione di Obama e Hollande, significa essere fuori dalla realtà e ripetere una bugia 3-400 volte senza contraddittorio, la grande lezione imparata da Silvio Berlusconi dall'eredità democristiana confluita in maggioranza nel suo partito di plastica, non funziona più come una volta. 


Ciliegina sulla torta finale, la Bindi vuole mostrare il "cartellino rosso" a Di Pietro perché ha osato attaccare il Presidente della Repubblica (un signore che preferisce non si sappia cosa ha detto a un indagato piuttosto che fare chiarezza), mentre invece assolve Casini che ha sparato ad alzo zero contro i magistrati palermitani, perché "lo ha fatto per difendere il Capo dello Stato".
Lo stile di Andreotti e Fanfani è destinato a sopravviverci.

lunedì 16 luglio 2012

L'ammiraglio ostaggio del Pentagono

Sul fatto che l'ammiraglio Giampaolo Di Paola ci abbia fatto retrocedere di parecchie posizioni in una virtuale classifica di democrazia ho già scritto in passato. Siamo l'unico paese civile (oddio, lo siamo ancora davvero?) che ha messo un militare a fare il Ministro della Difesa e l'amico non è uno qualunque.
E' una vecchia volpe che ha fatto carriera nella Nato, pappa e ciccia con gli americani e vero bipartisan che piace anche alla sinistra, infatti nel 1998 viene scelto come capo di gabinetto del ministro, Carlo Scognamiglio, ed è poi confermato dal successore Sergio Mattarella.  Nominato segretario generale della difesa nel 2001, sempre dal governo di sinistra, nel 2004 Berlusconi lo promuove capo di stato maggiore della difesa, dopo che nel 2002, con la qualifica di Direttore Nazionale degli Armamenti ha firmato al Pentagono il pro-memoria d'intesa che impegna l'Italia alla partecipazione del programma F-35, per l'acquisto di 131 cacciabombadieri, a circa 8,5 miliardi di dollari (valuta del 2002), più 1 miliardo per partecipare al programma di sviluppo. Una sòla in grande stile confezionata su misura per Silvio dagli amici americani per fargli pagare le ospitate presso il ranch della famiglia Bush.
Siccome oltreoceano magari succede anche che un nero salga alla Casa Bianca, ma è impossibile che le industrie militari perdano anche un solo briciolo del loro sconfinato potere, anche in tempi di drammatica spending review non potevamo proprio fare a meno di confermare l'acquisto.
I tecnici si sono pertanto affidati al supertecnico, il quale ha partorito l'uovo di Colombo: tagliamo un po' di posti di lavoro nella Difesa (da sempre refugium peccatorum degli zotici che non combinavano niente nella vita) e confermiamo aeroplanini, fregate e fuciletti in modo da poter continuare a giocare alla guerra sentendoci al pari degli altri, raccontando un mare di bugie (sullo stile della Tav) per rendere la cosa credibile.
Ci raccontano che dall'anno prossimo un militare su dieci lascerà l'esercito, con pre-pensionamenti o trasferimenti, ma per la gran parte degli esuberi si ricorrerà all' 'ausiliaria', una specie di aspettativa al 95 per cento dello stipendio. Un ammortizzatore privilegiato che si applica solo per il personale militare, alla faccia dei poveri esodati vittime di Frankestein-Fornero, e che sostanzialmente impedirà risparmi immediati.
Del resto il ministro è di Torre Annunziata e il gioco delle tre carte deve averlo imparato da piccolo.


sabato 14 luglio 2012

Le "beghe" del Pd sarebbero anche un po' fatti nostri

Il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, sostiene che al paese non importa nulla delle "beghe" interne del suo partito. Io invece ci terrei molto a sapere qual è la vera posizione di questo mostro a tre teste su argomenti come le unioni civili, le libertà individuali, i matrimoni gay, la cittadinanza agli immigrati e tutto quel fiume di soldi che si continuano a versare nelle capienti casse del Vaticano, posto che tanto in economia farebbero quel che già fanno (male) i banchieri Monti e Passera.
Perché poi è capace che ti arriva un nerd alla Enrico Letta a dirti che è meglio che i voti vadano al partito dello zio piuttosto che al Movimento 5 Stelle, perché Beppe Grillo non è d'accordo con lo ius soli. E quindi di conseguenza è meglio che vadano allo schieramento politico che in questi anni ha fatto accordi con i dittatori d'oltresponda mediterranea per prenderli a cannonate, gli immigrati, lo schieramento politico di Genova 2001, quando l'ancora non "futurista" ma autentico fascista Gianfranco Fini si recava in Procura a suonare la carica degli sbirri (adesso si lamenta che i sorci che ha fatto riuscire dalle fogne e che hanno come motto "nel dubbio mena" poi menano sul serio), lo schieramento politico che bacia la sacra pantofola (e il sacro culo di ogni prete) per pagarsi l'assoluzione dei propri peccati penali, civili e morali. E magari a sinistra restano gli scout alla Lusi e Fioroni, quelli delle mazzette e dell'ora di religione che fa punteggio.
Il segretario del Pd ha insistito sul fatto che l'alleanza fra progressisti e moderati è l'unica strada da percorrere.
La domanda è: chi sono i moderati? Gli amici del mafioso Cuffaro? Gli ex Margherita fuggiti con la cassa? I nipoti del maitre-a-penser di Silvio Bunga Bunga? Le beghine omofobe che ogni tanto gettano le loro messe in piega ridicole oltre all'ostacolo?
E' proprio sicuro, la controfigura di Ferrini, che i suoi elettori digeriranno l'unione di fatto fra lui e Azzurro Caltagirone?
Ammesso che questo paese un giorno torni alle urne, temo che avrà delle brutte sorprese.

venerdì 13 luglio 2012

Spaccare la vetrina di una banca costa più caro che spaccare la testa a qualcuno

Eccola la grande lezione di Genova 2001. Spaccare le vetrine di una banca è considerato un reato più grave che spaccare la testa alla gente. E così mentre i poliziotti macellai non faranno neanche un giorno di carcere visto che la sospensione dalla polizia è solo un reato amministrativo e i celerini che hanno commesso materialmente le violenze alla Diaz non sono stati neanche condannati, qualcuno dei temibili no global, accusato solo di danni materiali, da oggi entra direttamente al gabbio.
I reati? Gravi e stupidi, come lancio di pietre, bottiglie molotov, sfondamento di vetrine e bancomat, saccheggio di supermercati, ma mai paragonabili allo schifo di sangue a cui ci è toccato assistere ai danni di ragazzi inermi, in una giornata nella quale sotto i colpi dei manganelli ci finirono anche le suore della Marcia della pace di Assisi.
Un paese con il culto della merce e degli stivali chiodati, nel quale i siti web dei quotidiani hanno preferito titolare sulla riduzione delle condanne piuttosto che sottolineare che per alcuni ragazzi si aprono le porte del carcere, mentre per i "messicani" è finito tutto quasi in cavalleria.

giovedì 5 luglio 2012

Le meditazioni di Scalfari e Napolitano, 175 anni in due, sul futuro (?) del paese

"È una calda domenica di estate e l'automobile sta percorrendo il viale di Castel Porziano che porta alla residenza del presidente della Repubblica. Ai fianchi della strada si stagliano gli alti tronchi dei pini marittimi intervallati da querce. Un cinghialotto ci passa davanti e scompare nel folto del bosco. Sulle strisce di prato ai lati del viale saltella qualche merlo e un'upupa, 'ilare uccello' cammina impettita con la piccola cresta sul capo". 

Dite la verità, se voi foste degli editor di una casa editrice letto un incipit così gettereste il manoscritto nel cestino o no? Fra cinghialotti, merli e l'upupa di foscoliana memoria (e portatrice di autentica sfiga) uno pensa all'esercizio retorico di qualche scrittore amatoriale. E invece...

E invece è la soporifera prosa dell'ottantottenne Eugenio Scalfari che oggi si è preso due pagine di Repubblica (va beh, il giornale è suo ci fa quello che vuole) per raccontarci del pregnante incontro con un altro esponente della giovine Italia, l'ottantasettenne Giorgio Napolitano, con il quale ha intenzione di scambiare "idee e opinioni su quanto sta accadendo in Italia e in Europa", un brainstorming da istituto geriatrico.
Il vecchio giornalista liquida in tre righe la questione delle intercettazioni di Mancino e della pessima figura fatta dal Quirinale sulle indagini per le trattativa antimafia, rassicurandoci - un po' sullo stile di Minzolini con Berlusconi - che si tratta di una "campagna lanciata contro di lui" e "costruita sul nulla". Evidentemente Scalfari non legge più neanche il suo giornale, che su questa storia di magagne ne ha tirate fuori pure un bel po'. 
Ma si sa, fra vecchi squali non ci si mozzica.

L'importante è rassicurare la ggggente, fra una lezione di storia sulla Dc del 1953 e Einaudi che fanno assomigliare i due al mitico Numero Uno, personaggio di Alan Ford. "Non mi domandare se ce la faremo. Io so soltanto che dobbiamo farcela", chiosa il presidente parlando dell'Europa e subito viene in mente Guzzanti quando imitava Funari e il suo indimenticabile "nun gliela fà, nun gliela potemo fà". 
"Gli Stati nazionali garantiscono una tradizione, una cultura, una storia, ma soltanto l'unione politica dell'Europa, secondo l'originaria ispirazione federale, garantisce la speranza del futuro", insiste l'ex comunista a cui piacevano i carri armati in Ungheria. C'è chi vuole uscire dall'euro, gli domanda il reporter segugio. "Sciocchezze o peggio pura demagogia".

Fine dell'incontro, tutti a pranzo dalla moglie Clio, con Scalfari che ci informa che il povero presidente farà solo pochi giorni di vacanza a Stromboli. "Finché tocca a lui, deve stare al pezzo".
Tranquilli siamo in buone mani.

Ps: oggi la Finlandia ha nominato il nuovo Ministro della Difesa. Ha 33 anni. Il suo predecessore ne ha 45 e si è dimesso perché dopo aver fatto parte di tre governi diversi dal 2007 ad oggi preferisce passare un po' più di tempo con la sua famiglia. 
Poi uno dice lo spread...

mercoledì 4 luglio 2012

Coppie gay e "ius soli", solo Gasparri può pensare che il Pd sia un partito di sinistra

Quando uno vede Maurizio Gasparri pensa sempre di trovarsi di fronte all'anello mancante di Darwin. Reduce di quel "generone" romano post-fascista (che ci ha lasciato in eredità autentici mostri), dopo una carriera fatta alle spalle di Gianfranco Fini  si è innamorato di Berlusconi e per lui continua a combattere ardentemente, come quei giapponesi confinati sulle isole durante la Seconda Guerra Mondiale che cinquant'anni dopo ancora erano convinti di essere in prima linea. 
Lui è così e oggi ci regala una perla sul genere "attenti che arrivano i comunisti" (un po' inflazionato ma sempre efficace all'interno della nostra classe media composta in maggioranza da idioti e ignoranti). 
"Giorno dopo giorno si svela il programma del Pd", tuona il nostro maître à penser. "Prima una legge per il riconoscimento delle coppie gay e adesso cittadinanza facile per tutti", "passando cosi' dallo Ius sanguinis allo Ius soli". Secondo il senatore del Pdl, che già quando si esprime in italiano c'ha dei seri problemi, figuriamoci quando osa il latino, "la scelta del Pd rischierebbe, veramente, di isolarci dal resto d'Europa", come se non fosse bastata ad isolarci dal resto del mondo quella schifosa porcata di legge sull'immigrazione firmata dal suo ex camerata Fini e da Roberto Maroni, oggi leader di un partito corrotto e allo sbando.
Peccato che non sia affatto vero. 
Il Pd, lo sanno anche i muri, finché si trascinerà dietro quel caravanserraglio di democristiani riciclati (tutti gli amici dello scout Luigi Lusi, tanto per dire) e avrà un segretario che sostiene che l'alleanza con Pierferdinando Casini in Caltagirone è nella natura delle cose, non riuscirà mai a far passare il riconoscimento delle coppie gay, nè tantomeno lo ius soli, visto che la proposta l'ha avanzata Ignazio Marino, uno che è sempre in disperata minoranza all'interno di quel finto partito. 
Che disastro. 
La sinistra non c'è, però abbiamo anche Gasparri.

lunedì 2 luglio 2012

Italia solito paese di "chiacchieroni": neanche quattro pizze ci riducono al silenzio

Cesare Prandelli aveva avuto un colpo di fortuna. Dopo due anni di gioco fatiscente, una qualificazione ottenuta grazie alla pochezza degli avversari, e qualche figuraccia notevole, si è ritrovato agli Europei potendo schierare un blocco di giocatori provenienti dall'unica squadra che mette in campo quasi tutti italiani e che avevano fatto un campionato eccellente. Grazie a loro abbiamo passato a fatica il girone (soffrendo pure con dei dopolavoristi come gli irlandesi) e sull'onda dell'entusiasmo si sono giocate un paio di buone partite con Inghilterra e Germania arrivando a una finale che nessuno avrebbe mai sognato di giocare.
Gli spagnoli ci hanno asfaltato, non solo perché sono più forti, ma perché i nostri erano letteralmente alla frutta. Poteva anche andare bene così, sottolineare il traguardo comunque eccellente raggiunto e dire che di più proprio non si poteva fare.
Invece il nostro ct, che fino all'altro ieri faceva il modesto e diceva che non sapeva se sarebbe rimasto alla guida della nazionale, oggi prorompe con una serie di dichiarazioni ridicole: "Spesso il calcio è un veicolo per cambiare, noi siamo un Paese vecchio con tante cose da cambiare: dobbiamo avere il coraggio di cambiare. Noi lo abbiamo avuto, il risultato non deve essere condizionante per una idea". La colpa? Il fatto che la squadra si allena insieme solo 2-3 volte ogni otto mesi.
Ecco, da questo mister molto italico che l'unica cosa che sa trasmettere sono i pellegrinaggi ai santuari e ha trovato un bel posto di lavoro al figlio, vorremmo proprio sapere dove stava l'innovazione, il "progetto", l'idea di gioco. Ha messo in campo quelli che funzionavano, esattamente come ha fatto Del Bosque con i due blocchi di Barcellona e Real Madrid. Se non ci fossero stati i "vecchi", avremmo preso gli schiaffi anche dal Trap, così invece siamo arrivati a (non) giocarcela con i più forti del mondo. 
Per i prossimi mondiali, risparmiamo lo stipendio del Ct. Nominiamo un selezionatore per ogni partita che metta in campo quelli che stanno meglio, a prescindere dall'anagrafe o dai precedenti. Anche perché la velocità alla quale hanno giocato gli azzurri in questi Europei a tratti ha fatto rimpiangere pure i "vecchissimi", come, tanto per fare due esempi, i Totti e i Del Piero di questo finale di stagione.  

Ps: chissà che ne pensa del discorso sul paese di vecchi il nostro ottantasettenne Capo dello Stato, che ha  invitato i nostri eroi al Quirinale già da sabato, non portando esattamente molta fortuna.