venerdì 28 dicembre 2012

Piero Grasso e gli acquisti in saldi del Pd. Scende in campo l'uomo scelto da Silvio come cura omeopatica contro la mafia

Il mercato invernale nel calcio è quello che è. Quasi mai risolutivo. Le squadre un po' in crisi cercano qualche giocatore in saldo che quasi mai cambia le cose, si spende qualche soldo per accontentare i tifosi ma di solito si tratta di bidoni, anche perché magari sono calciatori fuori rosa da tempo che per rimettersi in forma hanno bisogno di mesi.
Stessa storia per il Partito Democratico, che per contrastare la discesa in campo di Antonio Ingroia (un tipo indigesto per un partito che non ha ancora fatto i conti con la questione della legalità), schiera con tanto di fanfare Piero Grasso, capo della direzione nazionale antimafia. 
Tutti sembrano all'improvviso dimenticare che Grasso è stato messo lì da Silvio Berlusconi, che per evitare che in quel posto ci finisse un magistrato davvero scomodo, Gian Carlo Caselli, fece scrivere da un suo maggiordomo di Alleanza Nazionale un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario, in base al quale Caselli non poté più essere nominato procuratore nazionale antimafia per superamento del limite di età. Il bello è che dopo la nomina la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il provvedimento che aveva escluso il giudice Caselli dal concorso. Ma Grasso rimase ovviamente al suo posto.
Per la serie facce a forma di posteriore, Grasso è quello che solo pochi mesi fa andava ciarlando di un premio a Berlusconi per il suo impegno "nella lotta alla criminalità organizzata" e tutti siamo ben consapevoli che Silvio, amico personale di Marcello Dell'Utri ed ex datore di lavoro del boss Vittorio Mangano, è una garanzia nella lotta alla mafia (però in forma omeopatica). 
Non solo. 
Nella stessa occasione il nuovo top-player del Pd polemizzò con Ingroia che aveva partecipato a un'iniziativa politica sostenendo che "è sbagliato fare politica utilizzando la propria funzione".
Oggi, tutti ad elogiare la sua amicizia con Falcone (erano tutti amici di Falcone, infatti guardate che fine che ha fatto)  e su Repubblica (da parte di uno dei commentatori meno informati che scrivono pagati a peso d'oro su quel giornale) viene esaltato il fatto che prima di scendere in politica abbia rassegnato le dimissioni. Molti altri prima di lui (come Di Pietro ad esempio) lo hanno fatto davvero. Lui si è limitato a chiedere l'aspettativa (come ha fatto Ingoria) e il pensionamento anticipato, perchè, ovviamente, si tratta di un giovincello di quasi 68 anni. L'età giusta per esordire in politica in un paese di vecchi bacucchi. Solo dopo qualcuno deve avergli fatto notare che era meglio presentare una lettera di dimissioni, tanto per distinguersi da quello che è evidentemente il suo avversario.
Tremo all'idea dei nuovi acquisti della infallibile campagna del Pd.

giovedì 27 dicembre 2012

L'agenda Monti e i sondaggi in un paese socialmente fallito

A due mesi dalle elezioni, ognuno sventola il suo bravo sondaggio, aggiungendo la sua personale tessera al mosaico che compone l'immagine di un paese socialmente fallito. 
Invadendo le tv  di sua proprietà, e quelle che controlla ancora politicamente (cioè tutte), il re del Bunga-Bunga si è riversato come uno tsunami nella case degli italiani per riproporsi come la peperonata a cena e subito qualche sondaggista lo accredita di un 15-18%, percentuale che potrebbe salire grazie a nuovi show dal piccolo schermo, sul quale ovviamente non ha rivali.
Il triste Mario Monti, dopo aver fatto il pesce in barile per un anno, ha deciso di mettere il suo bel faccione e la sua permanente cotonata e un sondaggio "riservato", commissionato da Montezemolo (non si sa a chi però) assegna alla lista del professore, quella buffonata patetica che si chiamerà "L'agenda Monti" (tipo la Smemoranda), fra il 19 e il 21 per cento, che la renderebbe il secondo partito, dopo il Pd, ma prima del Pdl e di Grillo, al quale comunque gli stessi sondaggi continuano ad assegnare percentuali che ne garantirebbero la presenza in Parlamento.  
Come Berlusconi prima di lui (che cosa non si farebbe per gli sgravi fiscali, i soldi a scuole e ospedali privati e l'otto per mille per pagare lo stipendio ai parroci, gente perbene come quello di Lerici), Monti ha incassato il sostegno dell'Osservatore Romano, organo dell'ultima monarchia assoluta d'Europa, folgorato dal suo "senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune". 
Dove abbiano visto la "cura del bene comune" nei provvedimenti completamente a senso unico varati da questo imbarazzate governo di banchieri e laureati alla Bocconi (aridatece la Minetti se proprio dobbiamo pagare un tributo all'Università dei ricchi), non si è ben capito. Ma va bene. Il nano di Arcore e il suo harem di escort non sono più spendibili Oltretevere. Serve un altro cavaliere per difendere i privilegi della casta vaticana. 
A casa di Silvio c'è chiaramente il panico. Ci sono figure come Fabrizio Cicchitto e l'ex ministro Renato Brunetta, che su Monti hanno già compiuto diverse giravolte, passando dagli elogi quando il grande capo gli aveva proposto la candidatura, alle peggiori offese ora che si è capito che non se ne fa niente. Per non parlare della tristissima fine degli ex camerati, costretti a spargersi in giro nel patetico tentativo di tenere insieme qualche truppa di nostalgici fuori temppo massimo.
E mentre Grillo sembra aver perso la spinta iniziale, il Pd sta studiando nuovi metodi per incassare l'ennesima sconfitta al novantacinquesimo dopo aver dominato la partita. Siamo infatti in attesa di conoscere quali saranno i "mostri" del listino bloccato di Bersani, costretto a trascinarsi dietro un inguardabile caravanserraglio di ex democristiani.
Mancano due mesi alle elezioni. E rischiano fortemente di essere un esercizio inutile. 


venerdì 21 dicembre 2012

E' Natale e mi vergogno un sacco di poter essere identificato con i cattolici

Lo ammetto. Provo orrore e vergogna per aver fatto parte ai tempi della mia adolescenza di quella congrega di razzismo, violenza, discriminazione e odio che è sempre stata la Chiesa Cattolica. E ora che si avvicina il Natale, il mio senso di nausea aumenta ogni volta che ho il dispiacere di leggere le ossessioni di un vecchio malato come il papa, che non ha altri nemici all'infuori dei gay, o di qualche integralista (magari imputato in vicende di molestie sessuali), che fa della misoginia il suo credo numero uno, o dei politici ladri e truffatori che tentano di rifarsi una verginità baciando la mano al vescovo di turno e versando il dovuto obolo simoniaco al Vaticano, sotto forma di sgravi fiscali illeciti e contributi diretti. 
Vi lascio quindi con la mia personale riflessione per la santa festività: la religione è da sempre la causa principale di tutte le guerre e la confessione cattolica nel corso della storia si è macchiata dei crimini più orrendi. Se fossimo davvero un modo di atei e secolarizzati, come dice l'omofobo (e gay represso) pontefice, staremmo tutti molto, ma molto meglio.

mercoledì 19 dicembre 2012

Beppe Grillo e l'ossessione di Michele Serra

E' un bel po' di tempo che Michele Serra, corsivista di Repubblica con tanto di breve rubrica fissa, è diventato l'ombra dell'uomo che ha dato una scossa alla satira italiana, con gli inserti dell'UnitàTango e Cuore, quest'ultimo diventato poi un settimanale autonomo. 
Il successo di allora (arrivò a vendere 160 mila copie a numero) era strettamente legato ai modi spicci e rudi con cui si bastonavano i politici della Prima Repubblica, un'epoca tragicamente simile a quella odierna, ma con un pizzico di speranza in più. 
Che non si trattasse esattamente di una satira "elegante" lo si può facilmente desumere da alcuni dei celebri titoli di prima pagina, tipo "Hanno la faccia come il culo" dedicato alle mummie del periodo di Tangentopoli che non volevano mollare l'osso, il bellissimo "Limiti della democrazia: votano anche gli stronzi", l'amore per il Psi di Bettino Craxi ("Scatta l'ora legale: panico fra i socialisti") e per il "nuovo che rutta" rappresentato dal signorotto di Arcore ("Silvio cacasotto: spedisce videocassette come Moana per evitare il confronto in diretta"), senza contare le bastonate alla Fiat ("Occhio al bidone: arriva la nuova 500, festa grande alla Renault") o alla Chiesa cattolica ("Primo effetto delle legge contro gli immigrati: espulso Wojtyla, spacciava l'oppio dei popoli"), o ancora ai riformisti che già all'epoca volevano tagliare le pensioni ("Aiuta lo Stato: uccidi un pensionato"). Ovviamente non si contavano le querele e le accuse di volgarità, che erano il fiore all'occhiello del "settimanale di resistenza umana".
Poi con l'arrivo al potere del primo governo di centrosinistra il nostro si trasforma. Molla Cuore e l'Unità e passa a Repubblica, dove da allora ci narcotizza con L'amaca, boxino quotidiano della pagina delle lettere, finalmente garbato come vorrebbe il signor padrone, ma anche terribilmente conformista. 
L'uomo che fustigava senza pietà i potenti che non volevano mollare la poltrona (tipo i cadaveri imbalsamati del suo partito di riferimento che ancora mendicano una deroga per non andare in pensione) è diventato un borghesotto sempre turbato dai toni eccessivi (degli altri). E non a caso è uno degli autori della trasmissione più edulcorata della tv italiana, "Che tempo che fa", condotta da Fabio Fazio l'uomo che non fa mai domande per non offendere, che pare brutto, e che forse anche per questo guadagna lo stipendio più alto di tutta la scassatissima Rai.
Ultimamente ha due ossessioni: una, da buon italico pantofolaro, è il calcio (Serra è interista e ha scritto decine di boxini per prendersela con la Juve, sugli impicci di Moratti invece manco una riga). L'altra è Beppe Grillo, il comico per il quale agli inizi degli anni novanta scriveva i testi degli spettacoli, e che oggi evidentemente lo infastidisce con il suo (ancora presunto) successo politico. 
Da quando i sondaggi indicano nel Movimento 5 Stelle un possibile ago della bilancia degli equilibri poltici del paese, Serra è scatenato. Con una media di un giorno ogni tre spara a zero contro il suo ex amico (anche oggi ci delizia con una lezione sulla scarsa democrazia del movimento), prendendosela soprattutto con la volgarità con la quale Grillo dalle pagine del suo blog picchia giù duro contro i potenti, come un tempo faceva magistralmente il suo Cuore
L'ossessione dei commentatori come Serra (la lista è molto lunga) nei confronti del comico genovese è qualcosa che andrebbe studiato per essere inserito all'interno dei manuali di psicologia. Ma forse ha solo a che fare con l'invecchiamento (e con la umanissima considerazione che si ha verso chi ti paga lauti stipendi). Hanno la faccia come il culo, avrebbe detto qualcuno.

venerdì 14 dicembre 2012

Monti in campo, quante belle facce pronte a seguirlo

Miracoli del montismo. Da quando i democristiani del Vecchio Continente hanno deciso di averne abbastanza di Silvio e puntano le loro fiches sull'uomo del loden, gli scenari dipinti dai commentatori si tingono di assurdo. 
Oggi da una parte c'è Libero, che dà per certa la fuga dal Pd di ben 33 fiori all'occhiello, guidati da uomini carismatici come "le truppe di Beppe Fioroni, gli uomini di Walter Veltroni e quelli vicini a Dario Franceschini" (la créme de la créme, insomma), folgorati sulla via di Damasco dal possibile impegno politico del professore. 
Sull'altro fronte risponde Repubblica, che ipotizza un analogo esodo dal Pdl di un manipolo di ex fedelissimi delusi da Silvio, roba forte come Beppe Pisanu (giovane virgulto politico di 75 anni), Raffaele Fitto (ex presidente della Regione Puglia rinviato a giudizio per diversi reati e per il quale i magistrati avevano anche chiesto l'arresto), Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, Alfredo Mantovano (tre firmatari della celebre lettera ai cattolici nella quale si chiedeva di sospendere ogni giudizio morale nei confronti di Berlusconi malgrado le accuse di prostituzione minorile, mentre magari si dava dell'assassino al padre di Eluana Englaro) e Gianni Alemanno (il sindaco che neanche Silvio vorrebbe ricandidare, visto che a Roma il suo fallimento è dato per acclarato da tutti). 
Ecco, se questi sono i nomi che Monti riesce ad attirare nel suo polo dei "moderati", direi che il Partito Popolare europeo si sta scavando la fossa da solo. 

mercoledì 12 dicembre 2012

Riforma delle Forze Armate e F-35: siamo pronti ad attaccare la Kamchatka

Nel disinteresse generale, con pochissime testate italiane ad occuparsene inclusi quei rivoluzionari bolscevici di Famiglia Cristiana, ieri una maggioranza che non c'è più ha approvato in fretta e furia e in modo definitivo il progetto delle Forze Armate, una delle mitiche "riforme" del governo dei tecnici, quelle che non servono a un tubo, tanto per intenderci. 
Questa però è ancora meglio, perché ci farà spendere di più.
Mentre i Monti brothers tagliano posti letto in ospedale, farmaci e prestazioni sanitarie, fondi alle scuole e perfino all'assistenza dei disabili, i nostri parlamentari hanno avuto il coraggio di aumentare le spese militari di 1,3 miliardi di euro l'anno (per un totale di 22 miliardi di euro), che verranno destinati interamente agli armamenti, visto che si prevede una sensibile riduzione del costo del personale (taglio di 33 mila militari e 10 mila dipendenti civili della Difesa entro 10 anni, ovvero 43 mila posti di lavoro in meno).
Il segretario del Pd Pierluigi Bersani durante il confronto con lo sfidante Matteo Renzi aveva farfugliato qualcosa sull'immoralità di un simile progetto in un momento di crisi come questo, annunciando che - udite, udite - ne avrebbe parlato addirittura con l'amico Barack Obama, perché "ragassi, 'sta roba qui degli F-35 non va mica bene, non va". Dovevano essere chiacchiere da bar, visto che ieri alla Camera la riforma della Difesa è passata tipo plebiscito, con 294 voti favorevoli e solo 25 contrari (50 gli astenuti).
Chi era ieri a Montecitorio non ha potuto fare a meno di notare una pletora di lobbisti del settore armamenti, pronti a sostenere il progetto, che consentirà in buona sostanza al Ministero della Difesa di spendere circa 5 miliardi di euro l'anno in più in aeroplanini e bombe. I novanta caccia F-35 sono solo la punta dell'iceberg del grande affare, che riguarda soprattutto Finmeccanica, l'azienda di Stato dal grande prestigio internazionale (infatti dei suoi scandali se ne occupano anche giornali autorevoli come il Wall Street Journal).
Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola (un militare alla guida dei militari, una scelta "tecnica" degna delle migliori dittature africane) ha già ordinato l’acquisto di tre cacciabombardieri F-35 impegnando altri 270 milioni. Il programma  non si è mai fermato, nonostante il 28 marzo scorso il Parlamento avesse deciso di "rinviare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma". 
Il primo dei tre caccia F-35 sarà consegnato all’Italia nel gennaio 2015 e l’ultimo sarà consegnato nel 2027. Dunque - fa notare sempre la rivoluzionaria Famiglia Cristiana - comprando gli F-35 "stiamo caricando un ulteriore debito pubblico sulle spalle dei nostri giovani che lo dovranno pagare per altri 15 anni".  
Un po' come Fantozzi: abbiamo firmato cambiali che ci perseguiteranno per i prossimi tre lustri.
Il bello è che nessuno sa ancora oggi quanto ci costa uno di questi mostri: i numeri indicati dal Ministero della Difesa sono saliti da 80 a 90 milioni di euro al pezzo. Per non parlare dei costi di gestione, che in una trentina d'anni potrebbero raggiungere i 50 miliardi di euro. 
E non è mica finita qui. Anche i posti di lavoro promessi da Di Paola sono una balla epocale: altro che 10 mila occupati in più, al massimo saranno 800. In Canada, dove sono un po' più furbi di noi, se ne sono accorti e la stampa parla di "fiasco" e di "incubo di Natale" per il governo. Invece per noi sono stati il regalino da far trovare sotto l'albero alla lobby più potente del mondo.
Vabbè, dai non fate quelle facce lì.
Anche se dovrete pagarvi l'assistenza sanitaria per intero e perfino la carta igienica per la scuola di vostro figlio, l'Italia avrà il suo nuovo modello, peraltro anticostituzionale. Gli F-35 sono infatti aerei adatti all'offesa più che alla difesa, come invece dovrebbe essere la vocazione militare nel nostro paese.
Male che va attacchiamo la Kamchatka, come a Risiko. E non c'abbiamo neanche bisogno dei carrarmatini.

lunedì 10 dicembre 2012

Monti e Berlusconi, quando il nemico del mio nemico non è davvero mio amico

Fine settimana di grandi risate con il ritorno in scena del miglior guitto della commedia all'italiana, il sempreverde Silvio Berlusconi, che dopo mesi di tentennamenti nel quale tutti pensavano avesse messo giudizio si è ripresentato sulla scena con un tempismo fantastico, proprio quando i suoi servi sciocchi pensavano di essersi liberati del padrone e organizzavano fantomatiche primarie (pensa come ci deve essere rimasta Giorgia "photoshop" Meloni che aveva già speso una fortuna in manifesti e raccolta firme). 
Tutta Europa, giustamente, torna a prenderci per i fondelli, perché uno come lui non teme imitazioni (neanche i giapponesi ci riuscirebbero), malgrado i brutti ceffi che pure dominano la scena politica dell'Unione Europea, e il professor Mario Monti gli nega anche il proscenio, annunciando le sue dimissioni, solo anticipate di qualche settimana rispetto ai tempi già previsti. 
Apriti cielo. 
Tutto il mondo vetero-capitalista, dalla stampa ai manager, ai politici di riferimento che un tempo avevano scorto in Silvio "il nuovo miracolo italiano", si dice preoccupato per il ritorno del Cavaliere oscuro e già rimpiange quel simpaticone di Monti, che in un anno di governo ha risolto ben poco massacrando il paese di tasse e tagli lineari totalmente improduttivi. 
Passi, che so, per i simpatici azionisti del Sole 24 Ore, che si capisce sempre bene quali interessi difendono,  ma che pure alcuni giornali della "sinistra" (oddio mio faccio sempre più fatica a scriverlo) dipingano scenari da apocalisse solo perché si voterà un mese prima mi sembra davvero eccessivo.
Le ultime leggi di stabilità e bilancio verranno regolarmente approvate. L'unica novità è che i geni che il professore ha portato al governo la smetteranno d'ora in poi di avanzare assurde proposte (verrà finalmente ridotta al silenzio la Fornero) o cadere nelle solite gaffe (come Passera) perché ormai non contano più nulla.
Silvio, diciamocelo chiaro, ha fatto un enorme favore alla "sinistra" (e vabbè, sì ci siamo capiti, quella roba lì che va da Bersani a non si sa bene chi, assomigliando sempre di più a una tragica canzone di Jovanotti). Non sarebbe ora di sfidarlo alle urne e basta, facendo finta che Monti non lo abbia mai sostenuto nessuno, perché nella testa di gran parte dell'elettorato (e non senza tante buone ragioni) questo verrà ricordato come uno dei peggiori governi della storia repubblicana?
Insomma, anche se fa il nemico di Berlusconi, Monti non è per niente "un amico". A meno che non siate dei banchieri o degli stipendiati da banchieri. 

martedì 4 dicembre 2012

La grazia a Sallusti? Il nuovo Silvio Pellico e la sua reggia d'oro. Napolitano e la Fnsi pensino alle cose serie

Io la penso esattamente come il giudice che è stato diffamato dai due peggiori straccioni che la stampa italiana possa annoverare: il carcere non si augura a nessuno. Ma se veramente il Quirinale si muoverà per la grazia ad Alessandro Sallusti, come anticipato dal solerte portavoce su Twitter (dove ha già combinato una serie infinita di casini), si tratterà dell'ennesimo pacchiano errore dell'ex stalinista Giorgio Napolitano
Fanno francamente ridere gli appelli del sindacato dei giornalisti e dei suoi colleghi della stampa berlusconiana, con il mefitico direttore del Giornale descritto come il nuovo Silvio Pellico. La realtà è che si tratta di un uomo che guadagna cifre da capogiro che non ha neanche il coraggio di dichiarare, per guidare una testata che incassa una marea di soldi pubblici e ha i bilanci in rosso da molti anni. E che sconterà la condanna ai domiciliari in una palazzina di 920 metri quadri su quattro piani, con piscina coperta e per giunta rivestita in madreperla, di proprietà della sua compagna Daniela Garnero ex Santanchè, un'abitazione così sobria da essere definita "una specie di Billionaire sulla terraferma": camera con letto king size rivestito da coperta di lince, bagno con rubinetti d'oro, un De Chirico sul caminetto tanto per gradire, poltrone in coccodrillo australiano e il tavolo dove si fa colazione rivestito di pelle di zebra (roba da chiamare la protezione animali).
Ecco, parlare di grazia a quest'uomo, che ha pubblicato in prima pagina un articolo scritto da un collaboratore dei servizi segreti radiato dall'Ordine dei Giornalisti, che per sostenere un'assurda tesi antibortista ha scritto una marea di falsità contro un magistrato che ha solo applicato la legge (perché in Italia esiste la LEGGE 194 e dopo 34 anni sarebbe ora che i cattolici della domenica se ne facessero una ragione), che senso ha di fronte alle carceri che straboccano di poveri sfigati, come gli immigrati pizzicati a vendere cd falsi, i tossicodipendenti (ma anche ragazzi qualunque) presi con pochi grammi di droga, i ladri di piccolissimo cabotaggio inchiodati da leggi mostruose sulla recidiva? 
Da quando è salito al Colle, Napolitano ha fatto molto raramente ricorso alla grazia. In quasi sette anni l'ha concessa solo 18 volte, contro le 114 concesse da Carlo Azeglio Ciampi, le 339 di Oscar Luigi Scalfaro e le 1.395 di Francesco Cossiga. Sandro Pertini ne concesse addirittura 6.095 e il record spetta a Luigi Einaudi con 15.578. 
Concederla a zio Fester Sallusti sarebbe veramente l'ennesimo inciampo per un presidente che solleva conflitti con i magistrati come se non fossero un potere dello Stato, dalle leggi a favore di Berlusconi firmate (e poi stroncate dalla Consulta) fino all'assurda telenovela delle intercettazioni telefoniche delle sue amabili conversazioni con l'imputato Nicola Mancino
E la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, pensi a quella massa di precari che lavora nelle stesse testate che concedono stipendi milionari ai propri direttori in cambio di stipendi da fame, invece di invocare anacronistici provvedimenti di grazia.