giovedì 10 marzo 2011

Ruby maggiorenne? Niente da fare, in Marocco i funzionari pubblici sono onesti

Mi sembra quasi di immaginarli gli emissari del Rais italiano in Marocco, insieme a un interprete e a una borsa di soldi. Gli è andata male, perché a Fkih Ben Salah, città ai piedi delle montagne dell’Atlante, hanno scoperto che i funzionari pubblici del paese nordafricano sono più onesti dei nostri. I novelli Totò e Peppino erano lì per cercare di falsificare la data di nascita di Karima El Marough, alias Ruby Rubacuori, venuta alla luce proprio Fkih il 1 novembre del 1992 e pertanto ancora minorenne all'epoca dei fatti contestati a "Muammar" Berlusconi nel rinvio a giudizio a Milano. Hanno offerto una somma importante a un'impiegata dell'ufficio dell'anagrafe per ritoccare di un paio di anni la data in modo da far cadere l'accusa di favoreggiamento della prostituzione minorile. Ma lei ha detto di no. 
I due devono esserci rimasti malissimo, visto che qui da noi un impiegato pubblico lo corrompi con un paio di biglietti di tribuna per lo stadio. Il terreno per la truffa era già pronto, grazie al solito Giornale, che lo scorso 2 marzo sparava a tutta pagina: "Il premier cala l'asso: Ruby era maggiorenne", aiutato dal Corriere della Sera, che in uno dei classici pezzi stile "buca delle lettere", aveva rivelato le confessioni intime del premier con i suoi fedelissimi: "È stata registrata all'anagrafe due anni dopo essere nata, abbiamo le prove che non era minorenne". 
La sòla è stata rivelata oggi dal  Fatto Quotidiano, che invece di riportare le veline dei portavoce di Palazzo Chigi, ha spedito tre giornalisti in Marocco e ha intervistato la funzionaria che ha subito il tentativo di corruzione. Era stata lei a contattare il giornale per raccontare la storia dei due italiani, che, insieme a un marocchino dall'aria distinta che si preoccupava di tradurre in arabo la conversazione, avevano chiesto di vedere l'estratto di nascita di Karima, per poi chiedere che fosse predatato al 1990. 
Gli azzeccagarbugli del presidente hanno reagito stizziti. "E' necessario che le autorita' italiane e del Marocco accertino con urgenza se esiste questa funzionaria, se ha rilasciato effettivamente quelle dichiarazioni, se il fatto e' realmente accaduto e, in tal caso, l'identità dell'interprete e dei due presunti italiani che avrebbero posto in essere le condotte descritte", hanno scritto in tono minaccioso Piero Longo e Niccolò Ghedini, sostenendo inoltre che la contraffazione del registro presso il comune sarebbe stata "totalmente inutile e risibile essendo tale dato conservato in più copie da diverse autorità governative''.
Peccato che il Fatto abbia scritto molto chiaramente che nei piccoli centri del Marocco l'anagrafe non è informatizzata, che tutto viene registrato a mano in alcuni libroni compilati in ordine cronologico e che gli emissari italiani avessero chiesto innanzitutto un certificato di nascita falso e in seguito la manomissione del relativo librone. Era abbastanza per far abboccare l'opinione pubblica, adducendo la scusa dell'arretratezza tecnologica e culturale del Marocco, dove, che vuole signora mia, sono tutti pecorai e iscrivono i figli all'anagrafe due anni dopo, e poter gridare nuovamente al complotto.

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