martedì 30 ottobre 2012

Chi imbarcheranno Crocetta e il Pd? Ex missini o ex berlusconiani?

Con chi pensa di governare in Sicilia Rosario Crocetta? Perché malgrado il Pd esulti parlando di "vittoria storica" i freddi numeri fanno emergere una realtà ben diversa. L'ex sindaco di Gela, gay dichiarato che forse per far contenti i papisti suoi alleati ha detto che in caso di vittoria avrebbe fatto voto di castità, ha ottenuto la miseria di 617 mila voti. 
Grazie all'astensionismo lo hanno fatto arrivare primo fra i candidati in corsa, ma sono comunque 250 mila in meno di quelli ottenuti 4 anni fa da Anna Finocchiaro, sostenuta oltre che dai democratici anche da Italia dei Valori e sinistre varie. La candidata di allora fu letteralmente travolta da Raffaele Lombardo che ottenne oltre 1 milione e 800 mila voti, pari al 65,3%, con il sostegno anche dell'Udc.
Oggi che il partito di Casini (lo stesso di Totò Cuffaro, tanto per intenderci) ha fatto l'alleanza con quel mostro abnorme del Pd i voti ottenuti non basteranno a garantire una maggioranza nel pletorico parlamento siciliano (90 seggi!!!). A chi chiederà i voti il casto Crocetta? All'ex missino Nello Musumeci, fondatore de La Destra, il partito di Storace? O a Gianfranco Miccichè, ex ras berlusconiano sull'isola? E questa sarebbe una vittoria?
Se questi signori pensano di poter riproporre una cosa del genere (un'alleanza fra ex comunisti, ex democristiani ed ex fascisti) temo che a livello nazionale andranno incontro a una disfatta ben peggiore. E i numeri parlano chiaro: se in Sicilia il Movimento di Grillo ha preso il 14,9% e il suo candidato Cancelleri addirittura il 18,20%, nel resto d'Italia il successo sarà di ben più vasta portata.
Malgrado il pessimo risultato ottenuto in Sicilia da Di Pietro, Vendola e ciò che resta della sinistra, continuo a pensare che l'ipotesi di andare al governo nazionale insieme a quel trasformista di Casini sia veramente come scavarsi la fossa. Purtroppo anche nel Pd paradossalmente l'unica persona seria è Bersani. Il resto del caravanserraglio è assolutamente insopportabile, anche senza i due più antipatici, D'Alema e Veltroni.
Se vogliono vincere davvero, discutano (non ho detto approvino) le proposte del Movimento 5 Stelle. Non vedo altra strada.

domenica 28 ottobre 2012

La Annunziata paragona Silvio a Fidel Castro, le piaceva solo quando la nominava presidente della Rai

Ora che tutti intravedono il viale del tramonto per l'ex caimano in preda al delirio da perdita del potere, anche persone che non avrebbero molto da predicare si avventano su quello che ormai considerano un cadavere. Mi ha fatto molto ridere l'editoriale di Lucia Annunziata sulla versione italiana (davvero un po' poverella) dell'Huffington Post, nel quale paragona Berlusconi a Fidel Castro, sostenendo che "il Cavaliere che abbiamo visto in conferenza stampa si è ripresentato con gli abiti del rivoluzionario populista di un tempo". Non solo, ma ha anche rilevato "un sapore sovietico in quella scenografia" con "il tessuto rosso a rami gialli alle spalle del Cavaliere durante la conferenza stampa".
Al di là di quello che si può pensare di Castro e del Teatro Bolshoi (la compagna Annunziata nella traslitterazione dal russo ci infila anche un "c" di troppo), credo che chiunque, anche il più acerrimo nemico del socialismo reale, sia in grado di riconoscere che il paragone è un pochino offensivo. Ma soprattutto girano un po' le scatole nel leggere il commento di una che è passata dal Manifesto a Repubblica, per sbarcare alla direzione del Tg3 dell'epoca primo governo Prodi e infine alla presidenza della Rai, durante (ma guarda un po') il secondo governo Berlusconi. Qui si è ovviamente distinta per aver fissato i famosi "paletti" (diventati i "baletti" in una formidabile imitazione di Sabina Guzzanti) all'informazione giornalistica e cancellando la tramissione Raiot dopo la prima puntata, diventando una caricatura di se stessa formidabile. Dopo la triste esperienza, è finita a libro paga della famiglia Agnelli facendo l'editorialista della Stampa, ma solo un anno più tardi è rientrata alla Rai con una sua tramissione. 
Ora dirige il nuovo sito di informazione (molto ammeregano ma alla fine ennesimo prodotto dell'edtrice Repubblica-L'Espresso) per lanciare l'allarme sull'antieuropeismo di Berlusconi, non, badate bene, perché per 18 anni il paese è stato ostaggio di un personaggio inqualificabile, ma perché se l'è presa con Monti e la Merkel.
Fantastico.

sabato 27 ottobre 2012

Altro che Al Capone: il gangster finì in carcere (ad Alcatraz), Silvio resta "in campo"

Altro che Al Capone, come si affrettano a sottolineare in tanti, altro che storia finita. Il celebre gangster fu incastrato sì per evasione fiscale, proprio come lui, ma finì dritto in galera, prima ad Atlanta, considerato il carcere più duro di tutti gli Stati Uniti e poi addirittura ad Alcatraz, da dove uscì molti anni dopo ammalato di sifilide e demenza. Silvio invece il carcere non lo vedrà mai, data la sua tarda età e grazie alla legge Cirielli che risparmia la cella agli ultrasettantenni (fu fatta su misura per l'amico Previti), ma probabilmente non verrà neanche condannato in via definitiva, visti i termini ridotti (da lui) per la prescrizione, che scatterà fra neanche due anni. Non solo, ma dei quattro anni che gli sono stati inflitti, tre sono condonati dall'indulto made by Prodi e Mastella.
Al di là di queste considerazioni, che rendono un po' ridicola l'esultanza di tanti giornali e uomini politici dallo scarsissimo acume, quello che è peggio è che dopo la sentenza che lo inchioda per i diritti televisivi, Silvio ha ovviamente reagito a modo suo.
Passo indietro? Primare farsa del Pdl con 3 o 4 dei suoi mantenuti poltici? Scordatevelo. Il "dominus indiscusso di un sistema fraudolento finalizzato a imponenti evasioni fiscali e fuoriuscite di denaro in suo favore" (come è stato definito dalla sentenza del Tribunale di Milano) fa la sua solita capriola, il suo consueto dietrofront: "Obbligato a restare in campo per riformare il pianeta giustizia".
Pronti per un nuovo giro di giostra?

venerdì 26 ottobre 2012

Cinquant'anni dopo Mattei, la folle rinuncia allo Stato imprenditore

Non so se ci avete mai fatto caso ma nel mondo anglosassone, dove è stato coniato, il termine radical indica sostanzialmente la sinistra estrema. Da noi i radicali sono un partito ostaggio di un vecchio bacucco, che dopo le meritorie battaglie degli anni settanta e ottanta, è impazzito, si è alleato con Berlusconi e gli ex missini e si è votato al capitalismo più sfrenato. Per non parlare del termine liberal, che negli Stati Uniti è un modo elegante per dare a qualcuno del comunista. Da noi, invece, quelli che attualmente si definiscono liberali sono di solito appecoronati sulle posizioni dei privati e hanno lentamente condotto una battaglia vincente per infondere nell'opinione della maggioranza (principalmente quindi coloro che un'opinione non ce l'hanno) la convinzione che tutto ciò che è pubblico è merda e che andrebbe privatizzata anche l'aria.
Un delitto. Il vero delitto. Perché in questo modo si fa fuori l'unica vera possibilità di sviluppo e di rilancio dell'economia con criteri di equità.
In questi giorni ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, scomparso il 27 ottobre del 1962 precipitando con il suo aereo privato nelle campagne di Bascapè, in provincia di Pavia. Un "incidente" da sempre considerato sospetto e nel 2005, dopo la riesumazione del cadavere e le nuove indagini chimiche rese possibili dalla tecnologia, definitivamente classificato come attentato. Mattei si era fatto moltissimi nemici da quando nel 1947 invece di liquidare l'Agip, azienda fondata dal fascismo, ne aveva fatto la base per la creazione di un colosso energetico, l'Eni, in un paese sostanzialmente privo di risorse di quel tipo. Democristiano assai atipico, di stampo decisamente più liberal (lui sì), Mattei era fermamente convinto della necessità della presenza dello Stato nell'economia, perché solo lo Stato può essere l'imprenditore che non è animato esclusivamente dal profitto e, nel caso, i soldi li reinveste per garantire lo sviluppo e non se li porta alle Cayman. 
La sua Eni fu uno dei traini fondamentali del boom economico italiano e nel giro di pochi anni i veri potenti (la Cia, la mafia, le sette sorelle, perfino l'Oas francese che gli contestava l'appoggio al Fronte di liberazione algerino) diventarono suoi avversari dichiarati. Questa gente a un certo punto non te la manda più a dire e ti elimina. Come fece con lui, con un carica di esplosivo piazzata sul jet all'aeroporto di Palermo, che si innescò durante il suo viaggio di ritorno dalla Sicilia, dove era stato scoperto da poco un imponente giacimento di metano.
La storia di questi cinquant'anni è nota. 
L'Eni è rimasto un colosso dell'industria italiana, ma è diventato oggetto di spartizione politica, passando dalla Dc alle grinfie del Psi craxiano, e annoverando alla sua guida personaggi discutibili e spesso coinvolti in procedimenti giudiziari. Paradossalmente all'epoca di Mattei a scagliarsi contro il "carrozzone di Stato" erano le sinistre, oggi se provate a dire che ci vuole la mano pubblica vi danno come minimo del comunista.
Oggi i "liberali" sono le banche, le istituzioni finanziarie, i fondi di investimento senza controllo, il mercato energetico in mano alle multinazionali e ad una manciata di sceicchi corrotti e dittatori, le aziende come la Fiat, che "pubblicizzano" le perdite e privatizzano i profitti da decenni, i grandi evasori fiscali, i manager della Bocconi. Per ironia della sorte, il paese si trova in una fase analoga a quella del dopoguerra, dove non esistono una vera concorrenza, né un vero mercato, ma solo oligarchie e cartelli, dove è stata quasi del tutto cancellata la produzione e dove prevale l'arretratezza tecnologica a infrastrutturale al punto da avvicinarci ai paesi del terzo mondo (che non si dice più ma ci siamo capiti).
Solo che oggi non c'è un Mattei, né un'Agip da cui ripartire. E la sinistra si impicca nel suo dialogo con la finanza e con gli imprenditori che fanno rientrare in Italia i capitali grazie agli scudi fiscali.

giovedì 25 ottobre 2012

Addio Silvio, l'incantatore di massaie del 4X2 alla Standa

La prima volta che mi ci sono trovato di fronte era su per giù il 1990. L'ometto, già proprietario di tre televisioni grazie ai suoi legami con l'astro politico del periodo, quel Bettino Craxi che di lì a poco sarebbe stato travolto da Tangentopoli, aveva acquistato due anni prima la Standa, pagandola mille miliardi di lire alla Ferruzzi-Montedison. Nonostante il marchio, allora conosciutissimo, la catena di negozi distribuiti in tutto il paese registrava pesanti perdite di gestione e la cifra pagata da Silvio a Raul Gardini sembrò a tutti una follia.
Invece faceva parte di un piano strategico di occupazione del territorio e di rincoglionimento delle masse (e soprattutto delle massaie), partito con lo tsunami di telenovelas e quiz televisivi con il quale aveva inondato i palinsesti delle sue emittenti. In quei giorni era al centro dell'attenzione grazie a una campagna molto aggressiva che prometteva nei suoi supermercati il 4x2 (paghi due, prendi quattro) che era stata oggetto di un'indagine delle neonata antitrust per violazione delle leggi sulla concorrenza la quale aveva imposto l'alt alla promozione. In occasione di un'assemblea di Confindustria, nel parterre dell'auditorium di viale dell'Astronomia, noi umili cronisti lo avvicinammo per chiedergli un commento sulla questione. Lui, che già allora sembrava un gangster da film di Coppola, sfoderò un sorriso a tutta dentatura e ci rispose più o meno: "Anche io sono rimasto sorpreso di questa fantastica offerta promozionale, al punto che ho detto subito a mia moglie di andare a fare la spesa alla Standa. Il 4x2 non si può fare? Faremo il 3x2, peccato per le donne italiane che devono fare la spesa".
Ricordo che ci guardammo in faccia trattenendo a stento le risate e che fra di noi commentammo in seguito: "Ma questo è un coglione!". 
La stessa idea che avevo di lui quando a fine 1993 decise di dichiarare il suo appoggio a Fini nella campagna a sindaco di Roma, e quando pochi mesi dopo annunciò l'idea di fondare un partito. Chi mai avrebbe votato per un simile pagliaccio per giunta odioso miliardario?
Nel gennaio del 1994 parto per un vacanza nella mia isola lontana, la Giamaica (l'avatar di questo blog fra l'altro è una foto che risale proprio a quel viaggio fra i tanti che vi ho fatto prima e dopo) e per oltre tre settimane resto senza leggere i giornali venendo a conoscenza solo per caso che le elezioni erano state fissate per il 27 e 28 marzo. A metà febbraio ritorno a casa passando per Miami, dove trovo una copia di Repubblica. Non dimenticherò mai il titolo: "Berlusconi in testa ai sondaggi". Per me fu un vero shock.
Non potevo immaginare che fosse l'inizio di 18 anni di devastazione, che hanno lasciato un paese ridotto in macerie, cancellando ogni esperienza politica, ogni idea, corrompendo ogni politico e ogni partito, fino al punto che qualcuno avrebbe rimpianto la Prima Repubblica.
Ognuno c'ha il suo ricordo personale di Silvio, oggi che l'incubo sembra decisamente volto al termine (ma sarà vero?). Questo è il mio e ancora mi pento di aver sottovalutato il pericolo, che il mio povero papà (un vero liberale, che difendeva a spada tratta la presenza dello Stato nell'economia e nell'informazione, non come questi quattro accattoni di oggi) aveva invece già intuito fin dai primissimi anni ottanta con l'avvento delle tv private.
Di fronte al disastro in cui versiamo sembra anche inutile esultare. Solo recitare il doveroso mea culpa per non aver capito in anticipo la portata del dramma.