martedì 29 gennaio 2013

Non vedo, non parlo, non sento: le tre scimmiette in Banca d'Italia

Rese celebri e paradigmatiche dai gialli Garzanti degli anni cinquanta, le tre scimmiette che non vedono, non parlano e non sentono, sono in realtà un simbolo di saggezza, un motto illustrato di origine giapponese. Quello che non vorrebbero nè vedere, nè sentire, nè pronunciare è il Male. Ma nell'immaginario collettivo sono diventate un sinonimo di omertà, di collusione, di disonestà materiale e intellettuale.
Un po' la storia della Banca d'Italia, quantomeno negli ultimi quarant'anni. Complici i giornalisti (quelli "embedded" a Palazzo Koch sono veramente terribili) che non scrivono mai male a prescindere di tutte le brutte facce che si sono avvicendate alla guida dell'istituto. Tutti bravi, buoni, belli e soprattutto competenti, anche quando  si capisce lontano un miglio che tutto c'hanno in testa tranne il bene del paese.

mercoledì 23 gennaio 2013

Mussolini e i regali al Vaticano: quando c'era Lui era proprio come oggi

Quando c'era Lui, caro lei, le cose andavano proprio uguale. Un dittatore poco intelligente e assai poco statista (era convinto di poter avere un impero e guidava un paese di contadini analfabeti), nato socialista e anti interventista e morto appeso per i piedi dopo una guerra che ci è costata milioni di morti, l'occupazione nazista e i bombardamenti degli alleati. Ma che soprattutto si comportava come il degno predecessore di quelli che sarebbe stati di lì a venire i capi del governo: elargiva a piene mani agli industriali (le squadre d'azione agivano contro gli operai in sciopero e il suo regime fu il primo ad attuare delle politiche che oggi definiremmo liberiste a favore di imprenditori e proprietari terrieri) e ai preti. 
Meraviglioso in questo senso il reportage pubblicato dall'autorevolissimo quotidiano britannico The Guardian, che nel giorno in cui il presidente della Cei Angelo Bagnasco intonava la solita tiritera sul fatto che la Santa Sede paga regolarmente le tasse, ci racconta del "tesoro" accumulato dal Vaticano in Francia (a Parigi), in Svizzera (e dove sennò) e a Londra. 
Lo sapevate che la sede di Bulgari a Bond Street e quella di una banca di investimenti a St.James Square (pagata 15 milioni di sterline nel 2006) sono roba loro? Ed è solo la punta dell'iceberg di un patrimonio immobiliare pari a 570 milioni di sterline (la stima è del Consiglio d'Europa), acquisito con operazioni segrete, da prestanome finanziari e frutto, indovinate un po', della gran mole di denaro che il cavalier Benito Mussolini versò ai preti in cambio del riconoscimento del regime fascista nel 1929. 
Tutto questo lo devono al sapiente lavoro del vero "banchiere di Dio" (l'altro, Calvi, è finito appeso anche lui sotto un ponte sul Tamigi), Bernardino Nogara, che papa Pio XI mise alla guida dell'Amministrazione della Santa Sede. Fra il 1929 e l'inizio della Seconda Guerra, Nogara investì i capitali vaticani nei più vari settori dell'economia italiana, dall'energia elettrica alle comunicazioni telefoniche, dal credito bancario alle ferrovie locali, della produzione di macchine agricole alle fibre tessili. Un cardinale americano, scrive lo storico Renzo De Felice, definì Nogara "la cosa più grande che è capitata alla Chiesa cattolica dopo Gesù Cristo". 
Paragone un po' blasfemo per un cardinale, ma assai veritiero.
I poveri giornalisti inglesi, che non possono immaginare un sistema marcio e da sempre condizionato dalle tonache come il nostro, hanno scritto che "mentre la segretezza sulle origini fasciste delle proprietà papali potrebbe essere stata comprensibile in tempo di guerra, quello che è meno chiaro è perché il Vaticano continui a mantenere il segreto sui suoi possedimenti".
Beata ingenuità anglosassone.

Siena, tanto tuonò che piovve: la catastrofe dei tecnici e della banca catto-comunista

La storia vuole che sia arrivato ai vertici della Fondazione Monte dei Paschi di Siena nel 2001 grazie all'appoggio dei Ds e della Curia, perché quando ci sono in mezzo i soldi, si sa, il diavolo e l'acquasanta vanno sempre d'accordo. Una tipica storia italiana quella di Giuseppe Mussari, che dal 2006 al 2012 ha fatto a pezzi una delle istituzioni del sistema bancario italiano, grazie alla evidente insipienza dei vertici dell'organo di controllo sulla Borsa, la Consob, e della mitica Banca d'Italia, che per molti anni è stato il regno delle tre scimmiette (non vedo, non parlo, non sento). 
Non bastavano i bilanci truccati, le spese pazze per il Palio e la squadra di basket (che da anni domina il campionato) e la "madre di tutte le follie" (come la definisce qualcuno) ovvero l'acquisizione dell'Antonveneta per 10 miliardi di euro, contro un valore patrimoniale di poco più di due miliardi. Ai conti in rosso ci aveva pensato il governo di Mario Monti, che senza colpo ferire ha rimpinguato le casse dell'istituto con la bellezza di 3,9 miliardi di euro (praticamente le entrate dell'Imu sulla prima casa sono finite tutte lì) e il buon Mussari, grazie evidentemente ai grandi risultati ottenuti, era diventato addirittura presidente dell'Abi, l'associazione che riunisce tutte le banche italiane. 
Ieri si è dovuto dimettere di gran carriera da quest'ultimo (si spera) incarico perché è venuto fuori un altro capolavoro, la storia di un "derivato" segreto chiamato Alexandria, spazzatura che si basava su mutui ipotecari ad altissimo rischio, le cui perdite sono state scaricate dal Monte per abbellire il bilancio del 2009 ai giapponesi della compagnia di servizi finanziari Nomura, la quale avrebbe poi riversato queste perdite sulla banca italiana attraverso un contratto a lungo termine che Mussari e soci si sono ben guardati di trasmettere ai revisori dei conti e alla Banca d'Italia. 
A cosa serviva il trucchetto? A chiudere il bilancio del 2009 in utile e consentire al nostro omino dei conti di incassare l'anno dopo un bonus da Paperone, pari a 800 mila euro.
Si parlava di tipica storia italiana. 
E che altro si potrebbe dire di un tizio che si spacciava per amico di Massimo D'Alema, era vicino a Comunione e Liberazione, era appoggiato dal sindaco di Siena del Pd, Franco Ceccuzzi (travolto anche lui dallo scandalo e costretto a lasciare la poltrona), ha finanziato per 673 mila in dieci anni prima i Ds e poi il Pd grazie ai suoi immeritati stipendi, vantava legami con alcune delle facce più tristi del centrosinistra, come Franco Bassanini, Rosi Bindi, Luigi Berlinguer (sì proprio quello che ha scelto i candidati del Pd alle prossime elezioni) e Giuliano Amato ed e' diventato presidente dell’Abi grazie al sostegno di Corrado Passera, oggi impalpabile ministro dello Sviluppo?
Cinquant'anni, avvocato calabrese, questo campione dei manager alla matriciana (meglio, alla 'nduja) ha bruciato 4 miliardi di euro in cinque anni, dissipando tutto il tesoro accumulato in mezzo secolo dal Monte dei Paschi e riducendo mezzo capoluogo toscano alla canna del gas. 
Quando si dice i "tecnici".



martedì 22 gennaio 2013

Che tristezza Veltroni e Bertinotti che cantano Gaber...

In Italia non si può neanche morire in pace. Come Giorgio Gaber, ad esempio, che da quanto ha tirato le cuoia viene continuamente citato a sproposito a destra e sinistra, con risultati che definire comici è un eufemismo. Prendete a esempio Fabio Fazio, il conduttore televisivo più pagato d'Italia (e probabilmente d'Europa) che strappa ai contribuenti che pagano il canone Rai milioni di euro l'anno: più di lui, di soldi pubblici, se ne mette in tasca solo Roberto Benigni, il giullare di corte che piace a tutti, perché non dà fastidio a nessuno. La trasmissione "Che tempo che fa" è fra le più banali del panorama televisivo già morente e ci mancava solo l'omaggio a Gaber con Walter Veltroni e Fausto Bertinotti che hanno letto il testo della canzone "Qualcuno era comunista". 
Mi è venuta una tristezza infinita.
Un po' perché mi è capitato di votare per tutti e due e ora li detesto per la triste fine che hanno fatto e il modo in cui hanno ridotto la sinistra italiana. Un po' perché penso che nessuno che abbia fatto politica in Italia possa apopropriarsi del pensiero di un anarchico individualista come il signor G. Ma poi anche perché l'ex sindaco di Roma, una vita nel partito di Botteghe Oscure, dalla Fgci al Pci, ci ha tenuto spesso a dire che lui comunista non lo è mai stato e perché l'ex segretario di Rifondazione, passato dal Chiapas del subcomandante Marcos al salotto della signora Angiolillo a Trinità de' Monti, è nato politicamente nel Psi, per poi confluire nel Psiup (il Partito Scomparso In Un Pomeriggio) e infine nel Pci e nel Pds. Gaber, la sinistra, i comunisti... tutti buoni ormai per gli scarti televisivi da prima serata.
"Qualcuno era comunista perché la rivoluzione?... oggi, no. Domani, forse. Ma dopodomani, sicuramente!".

lunedì 21 gennaio 2013

Fa più ridere Berlusconi quando dice di non aver mai pagato una donna o Monti quando parla di riforme "radicali" contro le lobby?

Sentire uno come Mario Monti, che parla di "riforme radicali" e attacca i "fortini protetti delle lobby, delle corporazioni, dei privilegi del nostro paese", sposta in alto l'asticella del senso del ridicolo italiano. Dopo Berlusconi, campione dei conflitti di interesse e di bugie epocali (da quella secondo la quale non ha mai pagato una donna, fino al complotto internazionale che lo avrebbe spodestato da Palazzo Chigi), ecco il nuovo che avanza a colpi di balle mefitiche. 
Se c'è una persona che in Italia incarna bene quella del lobbista, è proprio il Professore, la cui campagna elettorale viene finanziata da un manipolo di industriali che vanno da Tronchetti Provera a Della Valle, passando per Montezemolo, la famiglia Agnelli e Sergio Dompè (presidente di Farmindustria, una delle lobby più potenti e più difficili da intaccare). 
Monti è anche uomo dell'Università Bocconi, i cui campioni hanno occupato in questi ultimi tempi molti posti chiave del paese, delle banche (clamorosi i cosiddetti Monti bond,  3,9 miliardi che il governo presterà al Monte dei Paschi di Siena, accettando di farsi rimborsare gli interessi, in caso di insolvenza, con azioni della banca valutate cinque volte più di quanto faccia il mercato), del famigerato Gruppo Bildeberg (che non sarà l'impero del male ma non è neanche il club degli amici di Topolino) e ha lavorato per la Fiat per la quale ha fatto parte del consiglio di amministrazione (sintomatico l'endorsement ricevuto da Marchionne a Melfi, peccato che due giorni dopo il manager col maglioncino, fregandosene del suo lode, abbia annunciato la chiusura dell'impianto per due anni e la cassa integrazione). 
Prima di diventare Presidente del Consiglio "tecnico" era international advisor per Goldman Sachs, una delle più grandi banche d'affari del mondo, incriminata per frode dalla SEC, l'ente governativo statunitense che controlla la Borsa, e nota per il meccanismo delle revolving doors (le porte girevoli), grazie al quale alcuni personaggi passano da responsabilità pubbliche a ruoli di vario genere all'interno della banca e viceversa, garantendo gli interessi della consueta oligarchia e influenzando in maniera assai poco trasparente le politiche economiche dei singoli paesi (soprattutto quelli in difficoltà, come noi o la Grecia). 
Ecco, a un uomo così, che il Financial Times oggi ha definito "inadeguato a governare l'Italia" paragonandolo a Heinrich Brüning, cancelliere della Repubblica di Weimar ed esponente del centro cattolico, che con le sue politiche economiche di austerità contribuì ad aggravare il disagio sociale in Germania favorendo l'ascesa del nazismo, è proprio difficile credere quando parla di riformismo. 
Perché l'unica riforma che ha in mente, ed è cosa nota da tempo, è quella di ridurre i diritti dei lavoratori, i trattamenti sanitari e pensionistici, i soldi alla scuola e alla sanità pubbliche. Le lobby, con lui, possono dormire sonni proprio tranquilli. 


martedì 15 gennaio 2013

Casini, la Dc e i valori della famiglia (la sua)

Quando sentite un democristiano parlare dei sacri valori della famiglia dovete credergli. E' dai tempi dello sbarco degli americani in Sicilia che la Famiglia, quella con la F maiuscola, è in cima ai pensieri dei notabili dello scudocrociato e dei loro ex portaborse diventati politici di qualche peso anche nella Seconda, e ben più tragica, Repubblica. 
Inutile ricordare qui come lo scudo crociato sia stato per anni il riferimento politico della criminalità organizzata, da Andreotti a Salvo Lima, a Ciancimino. I tempi sono cambiati e oggi la famiglia è quella da piazzare negli strapuntini della macchina del potere, con vecchie zie, cognati, fratelli e fidanzatini in attesa di un posto al sole in lista (miracoli del porcellum). 
Come sempre però i democristiani fregano tutti.
Pensate a Pierferdinando Casini, che nelle liste dell'UDC, orfane di campioni come Totò Cuffaro, è stato capace di buttarci dentro la moglie del fratello, il fidanzato della figlia e il marito della sua portavoce, oltre al nipote di Ciriaco De Mita. L'uomo che si prefigge di difendere l'identità cristiana è naturalmente divorziato dalla prima moglie, che ha lasciato per sposare l'erede dell'impero Caltagirone che ha una ventina d'anni meno di lui (come tutti i leader dei partiti che dicono di essere di ispirazione cattolica). 
Ecco, il campione che una parte del Pd non smette di corteggiare e che piace tanto al professor Monti, l'ex portaborse di Arnaldo Forlani (l'ex segretario della Dc condannato in via definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione per la madre di tutte le tangenti, quella di  Enimont) è uno dei tanti che tuona contro le unioni civili e i matrimoni gay, lo stesso che utilizzava la carta intestata della Camera dei Deputati (della quale era presidente) per esprimere la sua solidarietà a Marcello Dell'Utri.
Poi uno guarda i sondaggi e vede che forse vale meno del 4%.
E il povero Bersani è costretto a chiedere a Ingroia (per il quale i consensi sono decisamente maggiori, ma gli strateghi del Pd avevano completamente sottovalutato il fatto) di desistere dal presentare la sua lista nelle regioni dove la partita è ancora in bilico. 
Forse 'sta vittoria mica è tanto certa.


lunedì 14 gennaio 2013

Moderati, estremisti, cattolici, musulmani ed ebrei: tutti d'accordo quando si tratta di negare i diritti degli altri

La manifestazione di ieri a Parigi, dove oltre mezzo milione di persone sono scese in strada per manifestare contro la proposta di legge socialista per rendere legali i matrimoni gay, è stata un perfetto esempio di come le facce peggiori di una società complessa, quelle che creano le maggiori divisioni anche al loro interno, siano sempre d'accordo quando si tratta di negare i diritti degli altri.
A sfilare per le vie della capitale fino alla Torre Eiffel c'erano infatti i moderati dell'UMP insieme agli estremisti razzisti del Fronte Nazionale, la Chiesa Cattolica insieme ai rabbini ebrei e ai vertici del Consiglio musulmano, tutti insieme per impedire l'affermazione di un diritto sacrosanto, che per giunta non toglie nulla a nessuno, nè afferma la supremazia di un'idea su un'altra, o di uno stile di vita su un altro. 
Perché il loro unico scopo è questo. 
Limitare la libertà individuale. Nei millenni.

venerdì 11 gennaio 2013

Berlusconi a Servizio Pubblico: perché hanno vinto Santoro e Travaglio

Uno dei tanti mali che affliggono questo paese è emerso con prepotenza nella scarica di commenti che hanno fatto seguito alla partecipazione del Caimano alla puntata di ieri di "Servizio Pubblico". Tutti a chiedersi chi ha vinto, come se Michele Santoro o Marco Travaglio fossero degli avversari politici di Silvio Berlusconi e non dei semplici giornalisti, come se quello di ieri sera fosse un confronto fra due candidati alla presidenza del Consiglio e non un talk-show in cui per la prima volta il miliardario-ridens si è sottoposto in diretta a qualche domanda scomoda e a tutte le critiche del caso. 
Naturalmente i più severi con il conduttore della trasmissione e il suo collaboratore più famoso sono stati i giornalisti sedicenti "di sinistra", che sono notoriamente dei grandissimi rosiconi, anche perché quasi tutti hanno provato a fare televisione con risultati disastrosi. Come Curzio Maltese su Repubblica, il quale sostiene con tutto il livore di cui è capace che Santoro incarna la "sinistra parolaia e gonfia di sé, ma alla fine disponibile al compromesso" e gli dà del "tribuno televisivo". Per anni, è il ragionamento di Maltese, "ha fatto notizia contro Berlusconi, ora l'unica possibilità era di farla con Berlusconi", come se il giornale per cui scrive e lui stesso non avessero campato di rendita sulla opposizione (un po' a targhe alterne, per la verità) nei confronti del miliardario di Arcore
Per non parlare di Aldo Grasso sul Corriere, che parla di "scontro fra due vecchi professionisti della politica da bar, due tecnici del populismo, fratelli coltelli un po' guitti". Oppure Lucia Annunziata, che dal suo sito web titola tutta contenta "La lepre Silvio" e insiste su una presunta vittoria di Berlusconi che lo rilancerebbe nell'agone politico facendolo risalire nei sondaggi (magari così la riporta alla presidenza della Rai). 
Figuriamoci come la poteva prendere l'Unità, che nel suo commento scrive che "anziché il pugile suonato che ci si poteva attendere, l'ex premier impone la sua agenda", parla di "grande spettacolo, una lunga e complessa messinscena"  e del largo sorriso di commiato finale del Berlusca che  "lascia qualche dubbio su chi si senta il vincitore del confronto".
Ovviamente trionfanti i giornali della destra, come il foglio diretto da Sallusti (e pagato dalla famiglia di Silvio) che parla di "lezione di Berlusconi a Travaglio",  o come Il Tempo, che vaneggia di "spot" di Santoro per il re del bunga-bunga. 
Chissà cosa si aspettavano questi illustri commentatori. 
Forse che Santoro lo mettesse all'angolo e lo picchiasse davanti a tutti, che Travaglio gli sputasse in faccia in diretta e che Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna lo graffiassero con le loro unghie. Perché è proprio vero: la stampa italiana è invidiosa dei successi altrui e sempre schierata con qualcuno a prescindere, come direbbe Totò.
La realtà è che Santoro e Travaglio hanno vinto a mani basse: il primo perché ha fatto nove milioni di spettatori (quasi una finale di Sanremo o una partita della Nazionale) e perché oggi anche nei bar non si parla d'altro. Il secondo perché ha ricordato senza pietà lo sfascio di questi vent'anni di berlusconismo e ha provocato la peggiore caduta di stile del vecchio piazzista di pozioni magiche, che ha perso la calma e ha letto una velina (quella della sparata contro il vicedirettore del Fatto) della quale anche lui si vergognava un po', visto che ne ha disconosciuto la paternità ripetutamente. Hanno vinto la Innocenzi e la Costamagna, che lo hanno messo in crisi più volte (ma quanti hanno saputo apprezzare le gaffe che hanno fatto emergere sull'Imu e la Bundesbank?), ha vinto il pubblico in sala che è stato abbastanza composto almeno fino alla sparata contro Travaglio.
Berlusconi sapeva benissimo di doversi sottoporre a un mezzo martirio, per uno come lui che non è abituato al contraddittorio ed era visibilmente nervosissimo, pieno di tic e di sorrisi forzati. Si è imposto il passaggio sotto le forche caudine e ne è uscito abbastanza a pezzi (memorabili i filmati di Brunetta e Tremonti che sbugiardavano le sue cazzate galattiche e dei dipendenti Mediaset di Roma trasferiti a Cologno Monzese). 
Mi viene in  mente qualcuno che invece a farsi grigliare da Santoro e Travaglio sulle candidature impresentabili del suo partito e sulle sue amicizie un po' chiacchierate non ci andrà.
Il segretario del Pd.

mercoledì 9 gennaio 2013

Niente posti letto in ospedale? Rapidi ed invisibili arrivano i sommergibili

Mentre a Roma le ambulanze restano ferme negli ospedali perché mancano i posti letto e la gente rimane sulle barelle al pronto soccorso, il ministro tecnico della Sanità, Renato Balduzzi, non sa che pesci prendere e chiede "una relazione urgente" sull'emergenza, mentre il direttore del servizio 118 di Roma ha inviato la stessa lettera anche al sindaco, al prefetto, al questore di Roma e alla Regione Lazio. 
Siamo arrivati a questo, un po' per colpa della dissennata gestione della sanità, soprattutto nel Lazio (dove gli ultimi tre governatori sono stati il patetico residuato fascista Storace, il cocainomane con il vizio dei trans Marrazzo e la coattissima Renata Polverini travolta da figuracce senza fine), ma anche del governo nazionale dei tecnici che non riparano un tubo, che hanno messo mano alle forbici senza neanche sapere cosa esattamente stavano tagliando.
Dice, c'è la crisi. E come no.
Infatti l'Italia è così in crisi che può pemettersi di spendere per due sommergibili (!!) di ultima generazione, gli U-212 della classe Todaro, costruiti dalla solita Finmeccanica (l'azienda italiana che vanta il maggior numero di manager indagati e condannati a vario titolo) insieme ai tedeschi della Thyssen Krupp (quei simpaticoni dell'acciaieria di Torino).
Costano quasi 1 miliardo di euro che sommato a un altro miliardo già speso per altre due unità già entrate in esercizio e con base a Taranto fanno 2 miliardi di euro.  Dopo i 900 milioni di euro buttati nel gabinetto per finanziare le missioni all'estero (tanto per avere qualche cadavere da spendere sul tavolo della Nato) e la follia degli F-35, la legge di stabilità del governo Monti contiene anche questa ultima perla. 
La Marina italiana (notoriamente impegnata in fondamentali operazioni per la sicurezza nazionale, tipo che so, la pesca di frodo) ha già due di questi "mostri", acquistati fra il 2006 e il 2007 e nel 2009 ha dato il via alla costruzione di altri due U-212.
Che cosa diavolo ci dovremmo mai fare con questi sommergibili a lungo raggio capaci di trasportare testate nucleari? Attacchiamo il Marocco? Ci difendiamo dai temibili algerini?
Tanto per dare un senso della misura di questa nuova follia, due miliardi di euro sono la metà del gettito dell'Imu sulla prima casa, quella tassa che il professore targato Rotary-Bocconi ha detto che proprio non si può abolire (salvo poi cianciare di un possibile abbassamento di un punto della pressione fiscale, che varrebbe 15 miliardi, ovvero quattro volte il balzello sulla casa che abitate). E sia chiaro che a favore di questo schifo hanno votato tutti, da destra a sinistra.
Invece di cercare di far riprendere i consumi, ingrassiamo i mercanti di morte.
I cattolici del governo, sempre pronti a menarla con i matrimoni gay, l'aborto e il divorzio, che dicono di questa roba? Che ne pensa il papa, convinto che il secolarismo sia il male assoluto, dei soldi spesi in armamenti?

martedì 8 gennaio 2013

Continua la campagna di Bersani per perdere le elezioni. Ce la farà?

Prosegue a ritmi serrati la campagna di Pier Luigi Bersani nel tentativo di perdere delle elezioni già vinte. Dopo il successo delle primarie e la discesa in campo (altro che salita)  del professor Mario Monti, che toglierà un sacco di voti a Berlusconi pescando in quella consistente fetta di borghesi assetati di sangue che ancora rappresentano una quota importante nel nostro paese, il segretario del Pd si deve essere vergognato del fatto che qualcuno possa considerarlo di  sinistra e infatti, fra impresentabili, democristiani e seguaci del liberismo più spinto, sta lentamente riempiendo il listino bloccato di facce che creano un po' di dubbi (tanto per usare un eufemismo) nell'elettorato che, guarda un po' che rompicoglioni, si ostina a votare a sinistra.
Dopo la criticabile scelta di Piero Grasso, l'uomo che è stato messo all'antimafia da Silvio Berlusconi, tanto per contrastare Antonio Ingroia, e la telenovela degli impresentabili,  Bersani ha pensato di sostituire il transfuga Piero Ichino (che si è finalmente tolto dalle scatole scegliendo uno schieramento più consono alle sue idee, quello dei banchieri di Monti) con un altro campione come Carlo Dell'Aringa, professore universitario (indovinate un po' dove? Alla Cattolica, naturalmente), che nove anni fa ha contribuito a scrivere la infausta legge Biagi, che ha sostanzialmente introdotto il precariato in Italia (con il particolare che non vennero varati gli ammortizzatori sociali previsti dal giuslavorista ucciso nel 2002 dalle Brigate Rosse), e il celebre "Libro bianco sul lavoro", un testo che farebbe apparire come un'inguaribile marxista anche la signora Elsa Fornero. Chi lo voterebbe uno così? Nessuno. E infatti gli tocca imporcelo. 
Per bilanciare il bolscevico Stefano Fassina, definito un estremista dagli estremisti del club Rotary, ecco il cattolico doc Edo Patriarca, presidente del Centro Nazionale di Volontariato e organizzatore delle Settimane Sociali, che scrive editoriali per Europa e che è da sempre avversario delle tesi del responsabile economico del Pd. 
Potevamo farci mancare l'Azione Cattolica? No di certo. E infatti ecco Ernesto Preziosi, ex vicepresidente dell'associazione, componente della direzione nazionale del partito. 
E che dire della Confindustria?
Potevamo mica farne a meno, ragassi. E quindi, voila, dal cappello a cilindro ecco uscire Giampaolo Galli, ex direttore generale dell'associazione degli industriali dal 2009 al 2012, il periodo in cui viale dell'Astronomia si è quasi sempre acriticamente inginocchiata di fronte a re Silvio, ed ex presidente dell'Ania, l'associazione delle imprese assicurative (noti benefattori dell'umanità).
Come se non bastasse si apre anche un caso in Puglia, dove il segretario regionale del Partito si è dimesso perché si è ritrovato con le liste zeppe di gente che con la Puglia non ha niente a che fare e ha accusato i vertici romani di aver tradito lo spirito delle primarie.
Secondo un sondaggio dell'Ipsos, che a dire il vero lo ha elaborato per il giornale degli industriali Il Sole 24 Ore (quindi  ad hoc per teorizzare la necessità di alleanze al centro), in Lombardia, Campania e Sicilia la vittoria del Pd sarebbe in forse e metterebbe in dubbio la maggioranza al Senato. 
Secondo voi, Bersani quanti voti perderà per queste scelte dissennate?


lunedì 7 gennaio 2013

A volte ritornano: la Lega ladrona incastra Silvio e ripropone Tremonti come se nulla fosse

Povero Silvio. Per rientrare in gioco alle prossime elezioni gli tocca anche calarsi le braghe davanti alla Lega Nord, il partito che un tempo sventolava i cappi contro Roma ladrona, ma che una volta salito al potere si è dimostrato più ladrone di tutti. Se gli ex missini possono vantare un Franco "Batman" Fiorito, i democratici campioni come lo scout Luigi Lusi e Filippo Penati e il Pdl una lunga pletora di indagati e inquisiti, sulle camicie verdi continua a piovere fango, dopo la scoperta delle imprese del "cerchio magico" di Umberto Bossi, alle spalle del quale si arricchivano in parecchi. 
L'ex segretaria della Lega al Senato ha aperto un nuovo vaso di Pandora sull'attività dei padani a Palazzo Madama. "Lavoro da otto anni al gruppo della Lega al Senato, ma quel che ho visto in questa legislatura, in questi ultimi tre anni in particolare, non ha precedenti", ha raccontato la donna, costretta a rivelare il vorticoso giro di contanti per i rimborsi dei senatori che ce l'avevano "duro", costantemente privi di riscontri. 
E mentre escono le ultime infamie del partito, il leader Roberto Maroni raggiunge un'intesa elettorale con Berlusconi: il candidato premier del centrodestra (quello targato Pdl-Lega) non sarà più il proprietario di Mediaset, ma, udite udite, l'ex ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, un nome che si pensava fosse stato cancellato dalla storia politica italiana, dopo il suo fallimentare operato a via XX Settembre e dopo i guai giudiziari in cui è rimasto coinvolto il suo ex consigliere politico, che ha evitato il carcere solo grazie al voto dei Radicali che in aula a Montecitorio sono risultati decisivi per respingere la richiesta di arresto.
E invece, l'uomo che è passato da un ruolo di editorialista del Manifesto all'approvazione di condoni e scudi fiscali in serie (vatti a fidare dei comunisti e soprattutto degli ex comunisti), torna improvvisamente sotto i riflettori, come se fosse più presentabile del suo ex padrone.
La cosa ha dell'incredibile. 
E il povero Silvio prende sganassoni anche dal punto di vista mediatico, con il suo Milan che esce dal campo di un'amichevole con il Pro Patria per gli insulti razzisti a Boateng e con Berlusconi che promette che adotteranno sempre questo comportamento, anche nelle partite ufficiali (meno male, perché finora il Milan era famoso per abbandonare il campo solo quando stava perdendo e Galliani, che si macchiò del più clamoroso gesto antisportivo della storia del nostro calcio professionistico, è rimasto al suo posto) . Colpo di scena: uno degli indagati per i "buuuu" al giocatore rossonero è un assessore della Lega nel Consiglio Comunale di Corbetta, provincia di Varese, zona che è culla del neonazismo italiano e del razzismo tout-court
Che stile, la destra. Sempre imbattibile.


giovedì 3 gennaio 2013

Silvio e Mario, due anziani allo sbaraglio occupano la tv

Il nuovo anno si è aperto un po' come si era concluso il precedente, con la solita istantanea della politica sempre più vecchia e appassita. Oltre all'ultraottuagenario che siede ancora al Quirinale e che ha come al solito dispensato una serie infinita di banalità e cose ovvie nel suo discorso di fine anno, la tv è letteralmente occupata da due persone ormai anziane anche loro, il presidente del Consiglio dimissionario Mario Monti (ormai quasi settantenne) e il presidente del Consiglio dimissionato Silvio Berlusconi (che ne ha compiuti 76), che fanno a gara a chi la spara più grossa nel tentativo di accaparrarsi quello che viene definito il "voto moderato". 
E' un'autentica orgia di finte interviste, dove i due snocciolano i loro cavalli di battaglia ormai ben noti. Da una parte il professore amico delle banche e degli istituti finanziari internazionali, che cerca di liquidare con un paio di battute il fatto che in Italia ci sia ancora qualcuno che vorrebbe votare a sinistra, ironizzando sul fatto che coloro che non intendono smantellare lo stato sociale e non vogliono stracciare le conquiste dei lavoratori lungo l'arco di un mezzo secolo sono in realtà dei conservatori. 
Perché nel magico mondo del club Rotary, quello di Monti, riformismo significa tornare all'era dei padroni del vapore, dello scontro sociale, della cancellazione di ogni dignità per i salariati, in modo da lasciare mano libera all'imprenditoria italiana (ovvero alle banche, visto che gli imprenditori in Italia non esistono). E' così tronfio nelle sue affermazioni, il professor Monti, che addirittura accusa di corporativismo il Pdl, reo a suo dire di non aver "liberalizzato" le professioni, come se lui fosse quello che può mettersi contro avvocati, farmacisti, commercialisti, baroni universitari, manager (cioè più o meno tutte le categorie rappresentate dalle inguardabli facce del suo governo). Una roba da morire dal ridere, soprattutto perché se l'è presa con il povero Renato Brunetta, ironizzando sulla sua "statura" di accademico.
Dall'altro lato c'è il solito Silvio, che mente sapendo di mentire, che un giorno sembra condividere l'agenda Monti e l'altro chiede una commissione di inchiesta contro il "golpe" che lo ha sottratto prematuramente all'affetto degli italiani. Lo show è sempre lo stesso: la colpa è dei comunisti (ma oggi su questo piano ha un concorrente agguerrito in Monti, che è riuscito a dare dell'estremista a gente come Vendola e Fassina facendo sorgere il dubbio che gli estremisti in Italia, purtroppo, non esistano proprio più), toglierò l'Imu, non ho mai pagato una donna, contro di me c'è una persecuzione giudiziaria. Un po' poco, soprattutto calcolando che alle elezioni dovrà portarsi dietro gente come la Lega (il partito quasi disssolto dalle indagini sulle truffe), i Fratelli d'Italia post-fascisti (e parecchio ridicoli), la lista di Storace (che voleva fare lo spiritoso candidando un giornalista di colore, che ha trovato posto in Rai perché missino da sempre, ma si è beccato una marea di insulti dai suoi simpatizzanti che un "negro" in lista proprio non lo sopportano). 
Due anziani tristi e soli, il primo convinto a guidare una lista che non si sa neanche se arriverà al 4%, il secondo a caccia almeno di una riconferma come leader della futura opposizione. Sarebbe meglio pensionarli subito, prima di ritrovarceli anche a cantare sul palco di Sanremo.
La Fornero non potrebbe fare uno strappo?