venerdì 28 dicembre 2012

Piero Grasso e gli acquisti in saldi del Pd. Scende in campo l'uomo scelto da Silvio come cura omeopatica contro la mafia

Il mercato invernale nel calcio è quello che è. Quasi mai risolutivo. Le squadre un po' in crisi cercano qualche giocatore in saldo che quasi mai cambia le cose, si spende qualche soldo per accontentare i tifosi ma di solito si tratta di bidoni, anche perché magari sono calciatori fuori rosa da tempo che per rimettersi in forma hanno bisogno di mesi.
Stessa storia per il Partito Democratico, che per contrastare la discesa in campo di Antonio Ingroia (un tipo indigesto per un partito che non ha ancora fatto i conti con la questione della legalità), schiera con tanto di fanfare Piero Grasso, capo della direzione nazionale antimafia. 
Tutti sembrano all'improvviso dimenticare che Grasso è stato messo lì da Silvio Berlusconi, che per evitare che in quel posto ci finisse un magistrato davvero scomodo, Gian Carlo Caselli, fece scrivere da un suo maggiordomo di Alleanza Nazionale un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario, in base al quale Caselli non poté più essere nominato procuratore nazionale antimafia per superamento del limite di età. Il bello è che dopo la nomina la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo il provvedimento che aveva escluso il giudice Caselli dal concorso. Ma Grasso rimase ovviamente al suo posto.
Per la serie facce a forma di posteriore, Grasso è quello che solo pochi mesi fa andava ciarlando di un premio a Berlusconi per il suo impegno "nella lotta alla criminalità organizzata" e tutti siamo ben consapevoli che Silvio, amico personale di Marcello Dell'Utri ed ex datore di lavoro del boss Vittorio Mangano, è una garanzia nella lotta alla mafia (però in forma omeopatica). 
Non solo. 
Nella stessa occasione il nuovo top-player del Pd polemizzò con Ingroia che aveva partecipato a un'iniziativa politica sostenendo che "è sbagliato fare politica utilizzando la propria funzione".
Oggi, tutti ad elogiare la sua amicizia con Falcone (erano tutti amici di Falcone, infatti guardate che fine che ha fatto)  e su Repubblica (da parte di uno dei commentatori meno informati che scrivono pagati a peso d'oro su quel giornale) viene esaltato il fatto che prima di scendere in politica abbia rassegnato le dimissioni. Molti altri prima di lui (come Di Pietro ad esempio) lo hanno fatto davvero. Lui si è limitato a chiedere l'aspettativa (come ha fatto Ingoria) e il pensionamento anticipato, perchè, ovviamente, si tratta di un giovincello di quasi 68 anni. L'età giusta per esordire in politica in un paese di vecchi bacucchi. Solo dopo qualcuno deve avergli fatto notare che era meglio presentare una lettera di dimissioni, tanto per distinguersi da quello che è evidentemente il suo avversario.
Tremo all'idea dei nuovi acquisti della infallibile campagna del Pd.

giovedì 27 dicembre 2012

L'agenda Monti e i sondaggi in un paese socialmente fallito

A due mesi dalle elezioni, ognuno sventola il suo bravo sondaggio, aggiungendo la sua personale tessera al mosaico che compone l'immagine di un paese socialmente fallito. 
Invadendo le tv  di sua proprietà, e quelle che controlla ancora politicamente (cioè tutte), il re del Bunga-Bunga si è riversato come uno tsunami nella case degli italiani per riproporsi come la peperonata a cena e subito qualche sondaggista lo accredita di un 15-18%, percentuale che potrebbe salire grazie a nuovi show dal piccolo schermo, sul quale ovviamente non ha rivali.
Il triste Mario Monti, dopo aver fatto il pesce in barile per un anno, ha deciso di mettere il suo bel faccione e la sua permanente cotonata e un sondaggio "riservato", commissionato da Montezemolo (non si sa a chi però) assegna alla lista del professore, quella buffonata patetica che si chiamerà "L'agenda Monti" (tipo la Smemoranda), fra il 19 e il 21 per cento, che la renderebbe il secondo partito, dopo il Pd, ma prima del Pdl e di Grillo, al quale comunque gli stessi sondaggi continuano ad assegnare percentuali che ne garantirebbero la presenza in Parlamento.  
Come Berlusconi prima di lui (che cosa non si farebbe per gli sgravi fiscali, i soldi a scuole e ospedali privati e l'otto per mille per pagare lo stipendio ai parroci, gente perbene come quello di Lerici), Monti ha incassato il sostegno dell'Osservatore Romano, organo dell'ultima monarchia assoluta d'Europa, folgorato dal suo "senso più alto e più nobile della politica che è pur sempre, anche etimologicamente, cura del bene comune". 
Dove abbiano visto la "cura del bene comune" nei provvedimenti completamente a senso unico varati da questo imbarazzate governo di banchieri e laureati alla Bocconi (aridatece la Minetti se proprio dobbiamo pagare un tributo all'Università dei ricchi), non si è ben capito. Ma va bene. Il nano di Arcore e il suo harem di escort non sono più spendibili Oltretevere. Serve un altro cavaliere per difendere i privilegi della casta vaticana. 
A casa di Silvio c'è chiaramente il panico. Ci sono figure come Fabrizio Cicchitto e l'ex ministro Renato Brunetta, che su Monti hanno già compiuto diverse giravolte, passando dagli elogi quando il grande capo gli aveva proposto la candidatura, alle peggiori offese ora che si è capito che non se ne fa niente. Per non parlare della tristissima fine degli ex camerati, costretti a spargersi in giro nel patetico tentativo di tenere insieme qualche truppa di nostalgici fuori temppo massimo.
E mentre Grillo sembra aver perso la spinta iniziale, il Pd sta studiando nuovi metodi per incassare l'ennesima sconfitta al novantacinquesimo dopo aver dominato la partita. Siamo infatti in attesa di conoscere quali saranno i "mostri" del listino bloccato di Bersani, costretto a trascinarsi dietro un inguardabile caravanserraglio di ex democristiani.
Mancano due mesi alle elezioni. E rischiano fortemente di essere un esercizio inutile. 


venerdì 21 dicembre 2012

E' Natale e mi vergogno un sacco di poter essere identificato con i cattolici

Lo ammetto. Provo orrore e vergogna per aver fatto parte ai tempi della mia adolescenza di quella congrega di razzismo, violenza, discriminazione e odio che è sempre stata la Chiesa Cattolica. E ora che si avvicina il Natale, il mio senso di nausea aumenta ogni volta che ho il dispiacere di leggere le ossessioni di un vecchio malato come il papa, che non ha altri nemici all'infuori dei gay, o di qualche integralista (magari imputato in vicende di molestie sessuali), che fa della misoginia il suo credo numero uno, o dei politici ladri e truffatori che tentano di rifarsi una verginità baciando la mano al vescovo di turno e versando il dovuto obolo simoniaco al Vaticano, sotto forma di sgravi fiscali illeciti e contributi diretti. 
Vi lascio quindi con la mia personale riflessione per la santa festività: la religione è da sempre la causa principale di tutte le guerre e la confessione cattolica nel corso della storia si è macchiata dei crimini più orrendi. Se fossimo davvero un modo di atei e secolarizzati, come dice l'omofobo (e gay represso) pontefice, staremmo tutti molto, ma molto meglio.

mercoledì 19 dicembre 2012

Beppe Grillo e l'ossessione di Michele Serra

E' un bel po' di tempo che Michele Serra, corsivista di Repubblica con tanto di breve rubrica fissa, è diventato l'ombra dell'uomo che ha dato una scossa alla satira italiana, con gli inserti dell'UnitàTango e Cuore, quest'ultimo diventato poi un settimanale autonomo. 
Il successo di allora (arrivò a vendere 160 mila copie a numero) era strettamente legato ai modi spicci e rudi con cui si bastonavano i politici della Prima Repubblica, un'epoca tragicamente simile a quella odierna, ma con un pizzico di speranza in più. 
Che non si trattasse esattamente di una satira "elegante" lo si può facilmente desumere da alcuni dei celebri titoli di prima pagina, tipo "Hanno la faccia come il culo" dedicato alle mummie del periodo di Tangentopoli che non volevano mollare l'osso, il bellissimo "Limiti della democrazia: votano anche gli stronzi", l'amore per il Psi di Bettino Craxi ("Scatta l'ora legale: panico fra i socialisti") e per il "nuovo che rutta" rappresentato dal signorotto di Arcore ("Silvio cacasotto: spedisce videocassette come Moana per evitare il confronto in diretta"), senza contare le bastonate alla Fiat ("Occhio al bidone: arriva la nuova 500, festa grande alla Renault") o alla Chiesa cattolica ("Primo effetto delle legge contro gli immigrati: espulso Wojtyla, spacciava l'oppio dei popoli"), o ancora ai riformisti che già all'epoca volevano tagliare le pensioni ("Aiuta lo Stato: uccidi un pensionato"). Ovviamente non si contavano le querele e le accuse di volgarità, che erano il fiore all'occhiello del "settimanale di resistenza umana".
Poi con l'arrivo al potere del primo governo di centrosinistra il nostro si trasforma. Molla Cuore e l'Unità e passa a Repubblica, dove da allora ci narcotizza con L'amaca, boxino quotidiano della pagina delle lettere, finalmente garbato come vorrebbe il signor padrone, ma anche terribilmente conformista. 
L'uomo che fustigava senza pietà i potenti che non volevano mollare la poltrona (tipo i cadaveri imbalsamati del suo partito di riferimento che ancora mendicano una deroga per non andare in pensione) è diventato un borghesotto sempre turbato dai toni eccessivi (degli altri). E non a caso è uno degli autori della trasmissione più edulcorata della tv italiana, "Che tempo che fa", condotta da Fabio Fazio l'uomo che non fa mai domande per non offendere, che pare brutto, e che forse anche per questo guadagna lo stipendio più alto di tutta la scassatissima Rai.
Ultimamente ha due ossessioni: una, da buon italico pantofolaro, è il calcio (Serra è interista e ha scritto decine di boxini per prendersela con la Juve, sugli impicci di Moratti invece manco una riga). L'altra è Beppe Grillo, il comico per il quale agli inizi degli anni novanta scriveva i testi degli spettacoli, e che oggi evidentemente lo infastidisce con il suo (ancora presunto) successo politico. 
Da quando i sondaggi indicano nel Movimento 5 Stelle un possibile ago della bilancia degli equilibri poltici del paese, Serra è scatenato. Con una media di un giorno ogni tre spara a zero contro il suo ex amico (anche oggi ci delizia con una lezione sulla scarsa democrazia del movimento), prendendosela soprattutto con la volgarità con la quale Grillo dalle pagine del suo blog picchia giù duro contro i potenti, come un tempo faceva magistralmente il suo Cuore
L'ossessione dei commentatori come Serra (la lista è molto lunga) nei confronti del comico genovese è qualcosa che andrebbe studiato per essere inserito all'interno dei manuali di psicologia. Ma forse ha solo a che fare con l'invecchiamento (e con la umanissima considerazione che si ha verso chi ti paga lauti stipendi). Hanno la faccia come il culo, avrebbe detto qualcuno.

venerdì 14 dicembre 2012

Monti in campo, quante belle facce pronte a seguirlo

Miracoli del montismo. Da quando i democristiani del Vecchio Continente hanno deciso di averne abbastanza di Silvio e puntano le loro fiches sull'uomo del loden, gli scenari dipinti dai commentatori si tingono di assurdo. 
Oggi da una parte c'è Libero, che dà per certa la fuga dal Pd di ben 33 fiori all'occhiello, guidati da uomini carismatici come "le truppe di Beppe Fioroni, gli uomini di Walter Veltroni e quelli vicini a Dario Franceschini" (la créme de la créme, insomma), folgorati sulla via di Damasco dal possibile impegno politico del professore. 
Sull'altro fronte risponde Repubblica, che ipotizza un analogo esodo dal Pdl di un manipolo di ex fedelissimi delusi da Silvio, roba forte come Beppe Pisanu (giovane virgulto politico di 75 anni), Raffaele Fitto (ex presidente della Regione Puglia rinviato a giudizio per diversi reati e per il quale i magistrati avevano anche chiesto l'arresto), Maurizio Sacconi, Gaetano Quagliariello, Alfredo Mantovano (tre firmatari della celebre lettera ai cattolici nella quale si chiedeva di sospendere ogni giudizio morale nei confronti di Berlusconi malgrado le accuse di prostituzione minorile, mentre magari si dava dell'assassino al padre di Eluana Englaro) e Gianni Alemanno (il sindaco che neanche Silvio vorrebbe ricandidare, visto che a Roma il suo fallimento è dato per acclarato da tutti). 
Ecco, se questi sono i nomi che Monti riesce ad attirare nel suo polo dei "moderati", direi che il Partito Popolare europeo si sta scavando la fossa da solo. 

mercoledì 12 dicembre 2012

Riforma delle Forze Armate e F-35: siamo pronti ad attaccare la Kamchatka

Nel disinteresse generale, con pochissime testate italiane ad occuparsene inclusi quei rivoluzionari bolscevici di Famiglia Cristiana, ieri una maggioranza che non c'è più ha approvato in fretta e furia e in modo definitivo il progetto delle Forze Armate, una delle mitiche "riforme" del governo dei tecnici, quelle che non servono a un tubo, tanto per intenderci. 
Questa però è ancora meglio, perché ci farà spendere di più.
Mentre i Monti brothers tagliano posti letto in ospedale, farmaci e prestazioni sanitarie, fondi alle scuole e perfino all'assistenza dei disabili, i nostri parlamentari hanno avuto il coraggio di aumentare le spese militari di 1,3 miliardi di euro l'anno (per un totale di 22 miliardi di euro), che verranno destinati interamente agli armamenti, visto che si prevede una sensibile riduzione del costo del personale (taglio di 33 mila militari e 10 mila dipendenti civili della Difesa entro 10 anni, ovvero 43 mila posti di lavoro in meno).
Il segretario del Pd Pierluigi Bersani durante il confronto con lo sfidante Matteo Renzi aveva farfugliato qualcosa sull'immoralità di un simile progetto in un momento di crisi come questo, annunciando che - udite, udite - ne avrebbe parlato addirittura con l'amico Barack Obama, perché "ragassi, 'sta roba qui degli F-35 non va mica bene, non va". Dovevano essere chiacchiere da bar, visto che ieri alla Camera la riforma della Difesa è passata tipo plebiscito, con 294 voti favorevoli e solo 25 contrari (50 gli astenuti).
Chi era ieri a Montecitorio non ha potuto fare a meno di notare una pletora di lobbisti del settore armamenti, pronti a sostenere il progetto, che consentirà in buona sostanza al Ministero della Difesa di spendere circa 5 miliardi di euro l'anno in più in aeroplanini e bombe. I novanta caccia F-35 sono solo la punta dell'iceberg del grande affare, che riguarda soprattutto Finmeccanica, l'azienda di Stato dal grande prestigio internazionale (infatti dei suoi scandali se ne occupano anche giornali autorevoli come il Wall Street Journal).
Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola (un militare alla guida dei militari, una scelta "tecnica" degna delle migliori dittature africane) ha già ordinato l’acquisto di tre cacciabombardieri F-35 impegnando altri 270 milioni. Il programma  non si è mai fermato, nonostante il 28 marzo scorso il Parlamento avesse deciso di "rinviare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma". 
Il primo dei tre caccia F-35 sarà consegnato all’Italia nel gennaio 2015 e l’ultimo sarà consegnato nel 2027. Dunque - fa notare sempre la rivoluzionaria Famiglia Cristiana - comprando gli F-35 "stiamo caricando un ulteriore debito pubblico sulle spalle dei nostri giovani che lo dovranno pagare per altri 15 anni".  
Un po' come Fantozzi: abbiamo firmato cambiali che ci perseguiteranno per i prossimi tre lustri.
Il bello è che nessuno sa ancora oggi quanto ci costa uno di questi mostri: i numeri indicati dal Ministero della Difesa sono saliti da 80 a 90 milioni di euro al pezzo. Per non parlare dei costi di gestione, che in una trentina d'anni potrebbero raggiungere i 50 miliardi di euro. 
E non è mica finita qui. Anche i posti di lavoro promessi da Di Paola sono una balla epocale: altro che 10 mila occupati in più, al massimo saranno 800. In Canada, dove sono un po' più furbi di noi, se ne sono accorti e la stampa parla di "fiasco" e di "incubo di Natale" per il governo. Invece per noi sono stati il regalino da far trovare sotto l'albero alla lobby più potente del mondo.
Vabbè, dai non fate quelle facce lì.
Anche se dovrete pagarvi l'assistenza sanitaria per intero e perfino la carta igienica per la scuola di vostro figlio, l'Italia avrà il suo nuovo modello, peraltro anticostituzionale. Gli F-35 sono infatti aerei adatti all'offesa più che alla difesa, come invece dovrebbe essere la vocazione militare nel nostro paese.
Male che va attacchiamo la Kamchatka, come a Risiko. E non c'abbiamo neanche bisogno dei carrarmatini.

lunedì 10 dicembre 2012

Monti e Berlusconi, quando il nemico del mio nemico non è davvero mio amico

Fine settimana di grandi risate con il ritorno in scena del miglior guitto della commedia all'italiana, il sempreverde Silvio Berlusconi, che dopo mesi di tentennamenti nel quale tutti pensavano avesse messo giudizio si è ripresentato sulla scena con un tempismo fantastico, proprio quando i suoi servi sciocchi pensavano di essersi liberati del padrone e organizzavano fantomatiche primarie (pensa come ci deve essere rimasta Giorgia "photoshop" Meloni che aveva già speso una fortuna in manifesti e raccolta firme). 
Tutta Europa, giustamente, torna a prenderci per i fondelli, perché uno come lui non teme imitazioni (neanche i giapponesi ci riuscirebbero), malgrado i brutti ceffi che pure dominano la scena politica dell'Unione Europea, e il professor Mario Monti gli nega anche il proscenio, annunciando le sue dimissioni, solo anticipate di qualche settimana rispetto ai tempi già previsti. 
Apriti cielo. 
Tutto il mondo vetero-capitalista, dalla stampa ai manager, ai politici di riferimento che un tempo avevano scorto in Silvio "il nuovo miracolo italiano", si dice preoccupato per il ritorno del Cavaliere oscuro e già rimpiange quel simpaticone di Monti, che in un anno di governo ha risolto ben poco massacrando il paese di tasse e tagli lineari totalmente improduttivi. 
Passi, che so, per i simpatici azionisti del Sole 24 Ore, che si capisce sempre bene quali interessi difendono,  ma che pure alcuni giornali della "sinistra" (oddio mio faccio sempre più fatica a scriverlo) dipingano scenari da apocalisse solo perché si voterà un mese prima mi sembra davvero eccessivo.
Le ultime leggi di stabilità e bilancio verranno regolarmente approvate. L'unica novità è che i geni che il professore ha portato al governo la smetteranno d'ora in poi di avanzare assurde proposte (verrà finalmente ridotta al silenzio la Fornero) o cadere nelle solite gaffe (come Passera) perché ormai non contano più nulla.
Silvio, diciamocelo chiaro, ha fatto un enorme favore alla "sinistra" (e vabbè, sì ci siamo capiti, quella roba lì che va da Bersani a non si sa bene chi, assomigliando sempre di più a una tragica canzone di Jovanotti). Non sarebbe ora di sfidarlo alle urne e basta, facendo finta che Monti non lo abbia mai sostenuto nessuno, perché nella testa di gran parte dell'elettorato (e non senza tante buone ragioni) questo verrà ricordato come uno dei peggiori governi della storia repubblicana?
Insomma, anche se fa il nemico di Berlusconi, Monti non è per niente "un amico". A meno che non siate dei banchieri o degli stipendiati da banchieri. 

martedì 4 dicembre 2012

La grazia a Sallusti? Il nuovo Silvio Pellico e la sua reggia d'oro. Napolitano e la Fnsi pensino alle cose serie

Io la penso esattamente come il giudice che è stato diffamato dai due peggiori straccioni che la stampa italiana possa annoverare: il carcere non si augura a nessuno. Ma se veramente il Quirinale si muoverà per la grazia ad Alessandro Sallusti, come anticipato dal solerte portavoce su Twitter (dove ha già combinato una serie infinita di casini), si tratterà dell'ennesimo pacchiano errore dell'ex stalinista Giorgio Napolitano
Fanno francamente ridere gli appelli del sindacato dei giornalisti e dei suoi colleghi della stampa berlusconiana, con il mefitico direttore del Giornale descritto come il nuovo Silvio Pellico. La realtà è che si tratta di un uomo che guadagna cifre da capogiro che non ha neanche il coraggio di dichiarare, per guidare una testata che incassa una marea di soldi pubblici e ha i bilanci in rosso da molti anni. E che sconterà la condanna ai domiciliari in una palazzina di 920 metri quadri su quattro piani, con piscina coperta e per giunta rivestita in madreperla, di proprietà della sua compagna Daniela Garnero ex Santanchè, un'abitazione così sobria da essere definita "una specie di Billionaire sulla terraferma": camera con letto king size rivestito da coperta di lince, bagno con rubinetti d'oro, un De Chirico sul caminetto tanto per gradire, poltrone in coccodrillo australiano e il tavolo dove si fa colazione rivestito di pelle di zebra (roba da chiamare la protezione animali).
Ecco, parlare di grazia a quest'uomo, che ha pubblicato in prima pagina un articolo scritto da un collaboratore dei servizi segreti radiato dall'Ordine dei Giornalisti, che per sostenere un'assurda tesi antibortista ha scritto una marea di falsità contro un magistrato che ha solo applicato la legge (perché in Italia esiste la LEGGE 194 e dopo 34 anni sarebbe ora che i cattolici della domenica se ne facessero una ragione), che senso ha di fronte alle carceri che straboccano di poveri sfigati, come gli immigrati pizzicati a vendere cd falsi, i tossicodipendenti (ma anche ragazzi qualunque) presi con pochi grammi di droga, i ladri di piccolissimo cabotaggio inchiodati da leggi mostruose sulla recidiva? 
Da quando è salito al Colle, Napolitano ha fatto molto raramente ricorso alla grazia. In quasi sette anni l'ha concessa solo 18 volte, contro le 114 concesse da Carlo Azeglio Ciampi, le 339 di Oscar Luigi Scalfaro e le 1.395 di Francesco Cossiga. Sandro Pertini ne concesse addirittura 6.095 e il record spetta a Luigi Einaudi con 15.578. 
Concederla a zio Fester Sallusti sarebbe veramente l'ennesimo inciampo per un presidente che solleva conflitti con i magistrati come se non fossero un potere dello Stato, dalle leggi a favore di Berlusconi firmate (e poi stroncate dalla Consulta) fino all'assurda telenovela delle intercettazioni telefoniche delle sue amabili conversazioni con l'imputato Nicola Mancino
E la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, pensi a quella massa di precari che lavora nelle stesse testate che concedono stipendi milionari ai propri direttori in cambio di stipendi da fame, invece di invocare anacronistici provvedimenti di grazia. 

giovedì 29 novembre 2012

Mannaggia al parroco! Bersani c'è ricascato...

Eppure non era andato male. C'ha sempre quell'aria un po' così, da persona che non sembra coinvolta più di tanto dal casino che gli gira intorno, ma alla fine se si ascolta bene quello che dice lui e quello che dice Matteo Renzi viene fuori il fatto che il segretario del Pd è ancora una persona di sinistra, ammesso che tutto il resto del suo partito non gli si rivolti contro magari per salvare lo strapuntino a qualche democristiano bollito.
Il sindaco di Firenze, infatti, recita la parte di quello che rappresenta il nuovo, ma per chi ha un minimo di esperienza di politichese (ed è purtroppo il mio caso) è facile leggere fra le righe come il giovanotto di belle speranze (che poi ha 37 anni e non è esattamente un ragazzino) intende proseguire nel solco raccapricciante tracciato dal governo Monti molto di più del segretario. Gli piace la riforma delle pensioni varata dalla Fornero (credo sia l'unico in Italia a parte la stessa Fornero), non taglierebbe gli aeroplanini al budget della Difesa perché "bisogna capire di che genere di Difesa abbiamo bisogno" (e che c'è da capire? Non abbiamo bisogno di bombardare nessuno, anche perché la Costituzione ce lo impedirebbe, hai visto mai che un giorno qualcuno si decida a farla rispettare), guarda con fastidio alla legislazione sul lavoro (infatti propone come ministro quel Piero Ichino che lo Statuto dei lavoratori lo abolirebbe proprio), si innamora di gente come Marchionne, salvo poi dire di essere rimasto deluso (e mostrando anche in questo caso uno scarsissimo acume). 
Insomma, Renzi è così. Con la sinistra non c'azzecca nulla, Pier Luigi Bersani invece ancora ce la può fare a non farci morire democristiani.
Così pensavo, in un insolito slancio di ottimismo, ascoltando il soporifero dibattito organizzato dal Tg1.
Poi il crollo. Alla domanda: a quale persona della vostra vita chiedereste scusa?, Bersani ha risposto: "Al mio parroco". E dopo la citazione di papa Giovanni XXIII durante il precedente duello è stato davvero troppo. 

mercoledì 28 novembre 2012

La sanità privata? Quanto piace ai cattolici...

Di fronte alla sparata di ieri di Mario Monti, che con la sua solita grazie da elefante in una cristalleria ha detto che la sanità pubblica non sarà più sostenibile se non con l'ingresso di non meglio precisati apporti privati, si è comprensibilmente alzata una levata di scudi generale.
Indovinate chi invece plaude al professore matto? 
Ma ovviamente i vescovi, che del business della sanità privata ne sanno ben qualcosa, come testimoniano i disastri del San Raffaele, del Gemelli a Roma e del Bambino Gesù. Infatti oggi sull'house organ dei porporati, Avvenire, un giornalista conosciuto in rete per le gaffe commesse nel tentativo di sostenere che la Chiesa paga l'Ici (non se ne era accorto nessuno, neanche qualche monsignore), scrive tutto soddisfatto che "le parole di Monti suonano non come una minaccia o una resa, ma al contrario come la fiduciosa chiamata alla responsabilità. Monti sta trattando gli italiani da persone adulte e serie". 
Più che da persone adulte e serie, a me pare di poter dire, continua a trattarci da stupidi. Cosa non farebbe per giustificare ulteriori trasferimenti di soldi pubblici nelle casse del Vaticano, magari per coprire i colossali debiti contratti dalle istituzioni sanitarie cattoliche?
"Il sistema sanitario nazionale è una risorsa importantissima del popolo italiano, e forse soltanto chi ha soggiornato abbastanza a lungo all’estero sa quanto sia evoluto, moderno e prezioso", sostiene il giornalista vescovile, che chissà dove ha risieduto all'estero, visto che almeno in Europa è molto facile trovare paesi dove la sanità funziona meglio ed è ugualmente garantita. "Per questo va preservato. Il sistema italiano, poi, è caratterizzato anche dall’integrazione, originale e virtuosa, con il privato sociale, anch’esso da preservare, incoraggiare, aiutare". 
Integrazione originale e virtuosa?
C'è bisogno della traduzione o è chiara la mano tesa per chiedere i soldi, magari per pagare i danni fatti da gente come don Verzè o dagli amministratori del Gemelli? 

martedì 27 novembre 2012

Ilva, un vero governo "tecnico" confischerebbe tutto

Se questo fosse davvero un governo "tecnico" come gli spacciatori di notizie rassicuranti vorrebbero farci credere, non avrebbe avuto dubbi sul da farsi nel caso dell'Ilva di Taranto. Di fronte agli arresti, agli avvisi di garanzia e alle decisioni della magistratura nei confronti degli attuali gestori dell'ex azienda di Stato, e alla incredibile faccia tosta dei manager che per rappresaglia chiude la fabbrica, non ci sarebbe che una strada praticabile: il sequestro dei beni del Gruppo Ilva e soprattutto della famiglia Riva (il padre Emilio è agli arresti domiciliari, al figlio Fabio hanno messo proprio le manette) per garantire le bonifiche che spettano all'azienda, che le continua a promettere da oltre un decennio e ha così ingannato schiere di politici di tutti gli schieramenti, oltre alla confisca degli stabilimenti siderurgici, che a dispetto di questi industriali ex stracciaroli che hanno approfittato di demenziali privatizzazioni, continuano a essere profittevoli. 
La confisca, nel nostro codice penale, è una misura di sicurezza patrimoniale per prevenire nuovi reati: lo Stato espropria cose che provengono da illeciti penali o che mantengono viva l'ipotesi del reato. Ed è proprio il caso di Taranto, senza contare che con il sequestro e la confisca dei beni di questa famiglia di galeotti si potrebbe facilmente sostenere il costo di 5.000 lavoratori a spasso.
E invece no. Perché Riva è uno che in passato ha ben oliato tutti quanti. Oggi mentre molti giornali si masturbano sulla poco esaltante competizione delle primarie, il Fatto ci ricorda che il patron dell'acciaio nel 2006 ha staccato un generoso assegno da 245 mila euro a Forza Italia e un altro, un po' meno generoso, di 98 mila euro a Pierluigi Bersani. Che si deve pensare di uno che dà i soldi a Berlusconi, ma anche un "regalino" a quel che resta del comunismo? Che "Franza o Spagna, basta che se magna", ovviamente. Una filosofia da sempre vincente in questo paese di Pulcinella.
Infatti, il sagace ministro dell'Ambiente attuale, Corrado Clini, che era già direttore generale del Ministero quando i Riva impazzavano senza freni, oggi se la prende con la magistratura. Perché? Perché i Riva hanno promesso per l'ennesima volta di investire per la bonifica (e lui per l'ennesima volta evidentemente ci crede). Il fatto che a Taranto si muoia di cancro più che in ogni altra parte d'Italia evidentemente non lo preoccupa.  Lui è un tecnico e quelle sono morti "tecniche". Due tumori all'anno in più in fondo sono "una minchiata".

lunedì 26 novembre 2012

Shopping della domenica: la santa alleanza fra cattolici e bottegari

Si sta delineando una santa alleanza fra bottegari e cattolici sull'apertura dei negozi di domenica, con i primi giustamente schierati per difendere i piccoli e medi esercizi e gli altri che come al solito almeno a parole vivono fuori dal mondo. E così la Confesercenti, con il patrocinio dei vescovi italiani (che evidentemente hanno poco a cui pensare) ha lanciato la campagna "Libera la domenica" sostenendo una tesi quantomai azzardata: "gli eccessi di liberalizzazioni penalizzano i piccoli negozi, costringendo imprenditori e lavoratori a sacrificare valori importanti come la famiglia". E uno se li immagina davvero questi negozianti italiani che pur di non assumere un dipendente in regola farebbero carte false, che la domenica sono affranti dall'impossibilità di passare la festa in famiglia. 
Come no. 
Poi ci si ferma a riflettere un attimo e ci si rende conto che per fortuna che c'è qualche negozio aperto la domenica, perché magari è l'unico giorno in cui si riesce a fare la spesa proprio per la famiglia, o a comprare un paio di scarpe, un libro e un video insieme ai propri figli. Perché nel resto della settimana si lavora lontano da casa e a differenza dei soliti e fastidiosi paesi civili da noi le "botteghe" ancora chiudono all'ora di pranzo, i supermercati tirano giù le serrande alle 20.30 e i negozi spesso non hanno un tubo di quello che si sta cercando. 
Con le aperture domenicali il pil non è aumentato, gridano gli economisti da sagrestia, ed è una clamorosa ovvietà, visto che il potere di acquisto è addirittura diminuito, ma perlomeno si offre un servizio a famiglie che - ci dispiace tanto per i cattolici - ma non sono più quelle della prima metà del secolo scorso, con le donne a preoccuparsi della casa e dei figli e gli uomini che chiedevano non venisse disturbato il loro riposo del guerriero. 
"C’è una larga alleanza tra noi cristiani e forze e sigle sociali laiche che non accettano il diktat. Il tempo non del tutto venduto al produrre, al faticare, è un valore riconosciuto in ogni epoca e in ogni cultura", delira un corsivista di Avvenire. Come se il problema fosse l'apertura domenicale e non le mille leggi contro i lavoratori approvate da governi sempre ispirati da santa madre chiesa o l'enorme evasione fiscale che si registra nel magico mondo dei piccoli esercizi. 
Almeno il grande supermercato rilascia sempre lo scontrino. E quella mezz'oretta per andare a messa i pochissimi (per fortuna) che ancora ci vanno dovrebbero riuscire a trovarla lo stesso. Senza contare che il parroco glielo paghiamo tutti.


mercoledì 21 novembre 2012

Il grande contributo di Ratzinger al risanamento della Chiesa: espulsi il bue e l'asinello

Se non sapete come addormentarvi la notte, da oggi è in libreria il capitolo finale della trilogia iniziata nel 2006 dal papa tedesco, Josef Ratzinger, la cui credibilità è stata completamente stravolta dagli scandali interni del Vaticano e che ormai gli alti prelati (quelli che contano davvero, mica come lui) conservano solo per esibirlo come presunto storico e teologo in attesa che si dimetta o che passi a miglior vita. 
Edito in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana e da Rizzoli (perché la pecunia, si sa, non olet) ad un prezzo di copertina di 17 euro per meno di 200 pagine (non esattamente un'opera di bene), l'imprescindibile opera di fiction ci racconta nientedimeno che l'infanzia di Gesù, che non si ribellava ai genitori ma allo stesso tempo obbediva al volere di Dio, passando per la verginità della Madonna e il ruolo dei Re Magi. 
Nella bella favoletta, ormai un po' stantia visto che viene perpetrata nella stessa versione da un paio di millenni, si avverte tuttavia la necessità del rinnovamento. Bambini tenetevi forte ma purtroppo la verità va detta fino in fondo. Il bue e l'asinello sono un falso storico
Non piangete, so che dopo la scoperta che Babbo Natale non esiste questo sarà un altro colpo. Ma la vita è fatta di dure prove. 

martedì 20 novembre 2012

Chi tocca Israele incappa nella censura (e nell'aggressione verbale dei fanatici religiosi)

Non importa se i missili colpiscono civili, donne e bambini. Non importa se in passato sono state usate anche armi vietate dalle convenzioni internazionali come le bombe al fosforo. E' del tutto irrilevante la abituale sproporzione fra azione e reazione, nè che questo avvenga sistematicamente a ridosso delle elezioni in Israele, con la destra che alza sempre il tiro per solleticare i guerrafondai e vincere. Chi si azzarda a criticare lo stato ebraico incappa nella censura, nell'accusa di antisemitismo e nell'aggressione verbale di insospettabili fanatici religiosi. 
E' successo a Piergiorgio Odifreddi, che per aver scritto alcune cose ovvie, come per esempio che "in questi giorni si sta compiendo in Israele l’ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine", citando ad esempio quanto accadde fra il 2008  e il 2009 con l'operazione Piombo Fuso, quando morirono ''almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine'', si è visto cancellare il post dalla solerte redazione di Repubblica
Succede a chiunque osi esprimere il benché minimo dubbio di fronte alle immagini dei bambini uccisi e delle bombe che piovono a grappolo sui palazzi e per le strade di Gaza: persone insospettabili e magari sinceramente democratiche che per mera appartenenza religiosa alla fede ebraica sono disposte a giustificare tutto, definendo le vittime civili "irrisorie dal punto di vista percentuale", girando e rigirando a proprio favore le decisioni dell'Onu e approfittando del fatto che i veti degli Stati Uniti hanno sempre impedito una presa di posizione che non lasciasse adito a dubbi. 
A Roma accade addirittura che all'interno del ghetto girino delle ronde che minacciano i manifestanti di sinistra, solo perché durante il corteo studentesco del 14 novembre scorso qualche ragazzo ha fischiato passando davanti alla Sinagoga e ha gridato "Palestina libera", e che solo per questo la comunità ebraica ha chiesto che vengano vietate le manifestazioni (!). 
Quando trasforma normali cittadini in cinici e spietati sanguinari, la religione (ogni religione) si conferma per quello che é: l'esaltazione dei peggiori istinti umani. Cosa abbia a che fare un ebreo italiano o newyorchese con criminali di guerra come Netanyahu o Sharon è veramente difficile da capire.

venerdì 16 novembre 2012

Nel paese dove sulla testa di gente inerme piovono lacrimogeni dalle finestre del Ministero della Giustizia

Servono a qualcosa le fotografie e i filmati di agenti di polizia che picchiano selvaggiamente persone inoffensive? No, come hanno dimostrato le decine e decine di episodi del genere nel corso delle manifestazioni degli ultimi dieci anni. Finché anche l'Italia non adotterà la norma in vigore in tutti i paesi civili che impone alle forze dell'ordine in assetto antisommossa un numero di matricola visibile sulla divisa per consentirne l'identificazione, l'omertà del corpo impedirà qualunque punizione. Ed è inutile mettersi a fare della filosofia sugli "infiltrati" nei cortei, affibbiando la responsabilità dell'ordine pubblico ai manifestanti anziché alla polizia, sempre capace di effettuare cariche e arresti indiscrimati e mai in grado di prevenire l'attività dei temutissimi black-bloc.
Ma cosa ha da dire il ministro della Giustizia, l'avvocato Paola Severino, sul fatto che dalle finestre del suo dicastero sono piovuti diversi lacrimogeni sulla testa di un pezzo del corte studentesco che procedeva lungo via Arenula e che non aveva alcuna intenzione bellicosa? E come giudicare l'affermazione del questore di Roma Fulvio Della Rocca, secondo il quale i lacrimogeni sono stati lanciati dagli agenti in strada e rimbalzati contro i muri del ministero?
Dal video si vede chiaramente che questa è una palese menzogna e da quell'altezza potevano essere mortali se avessero centrato qualcuno sulla testa. In un paese normale, giova sempre ricordarlo ai limiti della noia, la signora ministro e il signor questore sarebbero andati dritti dritti a casa. 

martedì 13 novembre 2012

I candidati della sinistra citano preti e cattolici laici come esempi di vita. Comunque vada questo paese morirà democristiano

Non ho seguito il dibattito televisivo fra i candidati della "sinistra" (oddio che impressione a chiamarla così) e dai resoconti che ne fa anche la stampa amica deve essere stato di una noia fenomenale.  Innanzitutto volevo fare i complimenti a chi nello staff del Pd ha deciso di pubblicare sul sito ufficiale del partito una specie di caricatura che ritrae i cinque candidati nei panni dei Fantastici 4 più Silver Surfer: le prese in giro sul web si sono sprecate e hanno fatto capire a tutti che no, non era una cosa seria. 
Al di là delle banalità di rito pronunciate in tv, quello che salta all'occhio è l'impossibilità per gli ex comunisti non di staccarsi da Marx (che quello sembra bello che sepolto), ma dalla Chiesa Cattolica. Passi per Tabacci, che da buon democristiano ha citato uno dei pochi democristiani di cui si possa ancora spendere il nome, Alcide De Gasperi. Sorvoliamo su Renzi che ha citato Mandela (cosa abbia lui in comune con un uomo che salito al potere ha espropriato i terreni ai padroni e ha incrementato fortemente la spesa pubblica a favore della sanità e delle pensioni non è molto chiaro). La Puppato, con la memoria rivolta a Peppone e Don Camillo, ha fatto i nomi di Nilde Iotti e Tina Anselmi, Bersani ha citato papa Giovanni XXIII e Vendola il cardinal Martini.
Ora a prescindere dal giudizio che si può dare su questi modelli, fa ridere il fatto che in Italia non si possa prescindere dalla presenza dei cattolici in politica, che va naturalmente garantita ma non fino all'imposizione assoluta, citando uomini che appartengono a un periodo storico che non è stato migliore di questo solo perché prima non c'erano nani e ballerine e i politici erano meno sfacciati di Berlusconi. 
Non c'è niente da fare, non solo moriremo democristiani, ma pure con l'abito talare indosso.

mercoledì 7 novembre 2012

Altro che Obama, il vero volto dell'America che cambia è la legalizzazione della marijuana

Altro che la riconferma di Barack Obama, che a dispetto dei sondaggisti di chiara fede repubblicana ha battuto abbastanza facilmente il suo impresentabile rivale, mormone e miliardario. Il vero volto dell'America che cambia è il referendum con il quale gli abitanti dello stato di Washington (nord ovest degli Usa) e del Colorado (centro) hanno legalizzato l'uso della marijuana "a scopo ricreativo" autorizzandone il possesso personale fino a 28 grammi e l'acquisto presso negozi specializzati.
Non si tratta, si badi bene, dell'autorizzazione a scopo terapeutico fin qui accettata in altri 17 Stati dell'Unione (ieri si è aggiunto anche il Massachussetts), ma riservata solo a persone affette da gravi patologie. Qui ci troviamo in presenza di una svolta storica, perché questi due Stati hanno varato un principio che non esiste in nessun altro paese del mondo, neanche in Olanda dove vige la "one blind eye policy" (la politica del chiudere un occhio) ma dove il consumo di marijuana non è tecnicamente legale. Qui è passato il concetto che un maggiorenne ha tutto il diritto di fumare una canna anche solo per farsi quattro risate con gli amici, essendo comunque opportunamente informato dei rischi che corre.
Dopo oltre trent'anni di folle "guerra alla droga", costata almeno cento miliardi di dollari solo fra il 1981 e il 1994 e voluta dal cowboy Ronald Reagan, l'idea dell'inasprimento delle pene nei confronti dei consumatori sta definitivamente tramontando. Già mezza America Latina, insanguinata dalle lotte fra bande del narcotraffico, ci sta seriamente ripensando e questa breccia aperta nel cuore di una delle nazioni che ha contribuito a rendere la droga un affare senza eguali sembra il primo passo di una lenta e inesorabile avanzata.
In Italia delle politiche reaganiane si innamorò prima Bettino Craxi, che fece firmare una legge assurda dal socialista Vassalli e dalla democristiana Rosa Russo Jervolino, la stessa che invece di finire nel dimenticatoio sarebbe in seguito diventata sindaco di Napoli coi voti della sinistra. Si rischiava una condanna penale con meno di mezzo grammo in tasca. Fortunatamente fu cancellata da un referendum nel 1994, per poi essere ripresa sia pure in versione un po' meno punitiva da altri due campioni della democrazia italica, l'ex missino Gianfranco Fini che per l'occasione la firmò in compagnia di Carlo Giovanardi, un nome una garanzia.
Ecco, su un argomento come questo, c'è anche solo una delle sole presunte coalizioni che si presenteranno alle prossime elezioni che abbia un programma preciso? Purtroppo neanche all'interno dei singoli partiti. Ed è solo un esempio, per quanto importante, del fatto che certe riforme di civiltà non si faranno mai. O perlomeno non le farà mai QUESTA sinistra.

venerdì 2 novembre 2012

Fra la miseria e Marchionne, la triste immagine dell'Italia nella campagna elettorale americana

Uno dice che se non voteranno per lui gli americani faranno la fine dell'Italia. L'altro in uno spot elettorale ci infila la lombrosiana faccia di Sergio Marchionne, l'uomo che (per ora) ha salvato la Chrysler e sta smantellando (qui con successo) la Fiat. E' la triste immagine del nostro paese che esce dalla campagna per le presidenziali degli Stati Uniti, con il candidato repubblicano Mitt Romney che un po' in difficoltà negli ultimi sondaggi fa la Cassandra: "Le politiche del presidente Barack Obama ci ridurranno a una situazione di difficoltà come quella che in Europa vediamo in Paesi come Italia e Spagna. Se siete un imprenditore - ha detto durante un comizio in Virginia - e state pensando di avviare un'attività dovete chiedervi: è l'America sulla strada della Grecia?".
Il presidente in carica, invece, utilizza il nome del manager più contestato dell'intera nazione per smentire la notizia contenuta in uno spot di Romney, secondo la quale la Fiat-Chrysler, a cui fa capo il marchio Jeep, aveva deciso di spostare la produzione delle fuoristrada dall'Ohio alla Cina. Marchionne ha scritto una lettera ai dipendenti per chiarire che la Jeep resta in Usa, scrivendo che "non sarà mai trasferita in Cina e insinuare qualcosa di diverso è sbagliato".
Non ci crederete mai, ma Obama si è fidato. Come il turista americano che compra la Fontana di Trevi da Totò.
Fra la miseria della bancarotta e la lotta di classe al contrario. Questa la fine che abbiamo fatto.

martedì 30 ottobre 2012

Chi imbarcheranno Crocetta e il Pd? Ex missini o ex berlusconiani?

Con chi pensa di governare in Sicilia Rosario Crocetta? Perché malgrado il Pd esulti parlando di "vittoria storica" i freddi numeri fanno emergere una realtà ben diversa. L'ex sindaco di Gela, gay dichiarato che forse per far contenti i papisti suoi alleati ha detto che in caso di vittoria avrebbe fatto voto di castità, ha ottenuto la miseria di 617 mila voti. 
Grazie all'astensionismo lo hanno fatto arrivare primo fra i candidati in corsa, ma sono comunque 250 mila in meno di quelli ottenuti 4 anni fa da Anna Finocchiaro, sostenuta oltre che dai democratici anche da Italia dei Valori e sinistre varie. La candidata di allora fu letteralmente travolta da Raffaele Lombardo che ottenne oltre 1 milione e 800 mila voti, pari al 65,3%, con il sostegno anche dell'Udc.
Oggi che il partito di Casini (lo stesso di Totò Cuffaro, tanto per intenderci) ha fatto l'alleanza con quel mostro abnorme del Pd i voti ottenuti non basteranno a garantire una maggioranza nel pletorico parlamento siciliano (90 seggi!!!). A chi chiederà i voti il casto Crocetta? All'ex missino Nello Musumeci, fondatore de La Destra, il partito di Storace? O a Gianfranco Miccichè, ex ras berlusconiano sull'isola? E questa sarebbe una vittoria?
Se questi signori pensano di poter riproporre una cosa del genere (un'alleanza fra ex comunisti, ex democristiani ed ex fascisti) temo che a livello nazionale andranno incontro a una disfatta ben peggiore. E i numeri parlano chiaro: se in Sicilia il Movimento di Grillo ha preso il 14,9% e il suo candidato Cancelleri addirittura il 18,20%, nel resto d'Italia il successo sarà di ben più vasta portata.
Malgrado il pessimo risultato ottenuto in Sicilia da Di Pietro, Vendola e ciò che resta della sinistra, continuo a pensare che l'ipotesi di andare al governo nazionale insieme a quel trasformista di Casini sia veramente come scavarsi la fossa. Purtroppo anche nel Pd paradossalmente l'unica persona seria è Bersani. Il resto del caravanserraglio è assolutamente insopportabile, anche senza i due più antipatici, D'Alema e Veltroni.
Se vogliono vincere davvero, discutano (non ho detto approvino) le proposte del Movimento 5 Stelle. Non vedo altra strada.

domenica 28 ottobre 2012

La Annunziata paragona Silvio a Fidel Castro, le piaceva solo quando la nominava presidente della Rai

Ora che tutti intravedono il viale del tramonto per l'ex caimano in preda al delirio da perdita del potere, anche persone che non avrebbero molto da predicare si avventano su quello che ormai considerano un cadavere. Mi ha fatto molto ridere l'editoriale di Lucia Annunziata sulla versione italiana (davvero un po' poverella) dell'Huffington Post, nel quale paragona Berlusconi a Fidel Castro, sostenendo che "il Cavaliere che abbiamo visto in conferenza stampa si è ripresentato con gli abiti del rivoluzionario populista di un tempo". Non solo, ma ha anche rilevato "un sapore sovietico in quella scenografia" con "il tessuto rosso a rami gialli alle spalle del Cavaliere durante la conferenza stampa".
Al di là di quello che si può pensare di Castro e del Teatro Bolshoi (la compagna Annunziata nella traslitterazione dal russo ci infila anche un "c" di troppo), credo che chiunque, anche il più acerrimo nemico del socialismo reale, sia in grado di riconoscere che il paragone è un pochino offensivo. Ma soprattutto girano un po' le scatole nel leggere il commento di una che è passata dal Manifesto a Repubblica, per sbarcare alla direzione del Tg3 dell'epoca primo governo Prodi e infine alla presidenza della Rai, durante (ma guarda un po') il secondo governo Berlusconi. Qui si è ovviamente distinta per aver fissato i famosi "paletti" (diventati i "baletti" in una formidabile imitazione di Sabina Guzzanti) all'informazione giornalistica e cancellando la tramissione Raiot dopo la prima puntata, diventando una caricatura di se stessa formidabile. Dopo la triste esperienza, è finita a libro paga della famiglia Agnelli facendo l'editorialista della Stampa, ma solo un anno più tardi è rientrata alla Rai con una sua tramissione. 
Ora dirige il nuovo sito di informazione (molto ammeregano ma alla fine ennesimo prodotto dell'edtrice Repubblica-L'Espresso) per lanciare l'allarme sull'antieuropeismo di Berlusconi, non, badate bene, perché per 18 anni il paese è stato ostaggio di un personaggio inqualificabile, ma perché se l'è presa con Monti e la Merkel.
Fantastico.

sabato 27 ottobre 2012

Altro che Al Capone: il gangster finì in carcere (ad Alcatraz), Silvio resta "in campo"

Altro che Al Capone, come si affrettano a sottolineare in tanti, altro che storia finita. Il celebre gangster fu incastrato sì per evasione fiscale, proprio come lui, ma finì dritto in galera, prima ad Atlanta, considerato il carcere più duro di tutti gli Stati Uniti e poi addirittura ad Alcatraz, da dove uscì molti anni dopo ammalato di sifilide e demenza. Silvio invece il carcere non lo vedrà mai, data la sua tarda età e grazie alla legge Cirielli che risparmia la cella agli ultrasettantenni (fu fatta su misura per l'amico Previti), ma probabilmente non verrà neanche condannato in via definitiva, visti i termini ridotti (da lui) per la prescrizione, che scatterà fra neanche due anni. Non solo, ma dei quattro anni che gli sono stati inflitti, tre sono condonati dall'indulto made by Prodi e Mastella.
Al di là di queste considerazioni, che rendono un po' ridicola l'esultanza di tanti giornali e uomini politici dallo scarsissimo acume, quello che è peggio è che dopo la sentenza che lo inchioda per i diritti televisivi, Silvio ha ovviamente reagito a modo suo.
Passo indietro? Primare farsa del Pdl con 3 o 4 dei suoi mantenuti poltici? Scordatevelo. Il "dominus indiscusso di un sistema fraudolento finalizzato a imponenti evasioni fiscali e fuoriuscite di denaro in suo favore" (come è stato definito dalla sentenza del Tribunale di Milano) fa la sua solita capriola, il suo consueto dietrofront: "Obbligato a restare in campo per riformare il pianeta giustizia".
Pronti per un nuovo giro di giostra?

venerdì 26 ottobre 2012

Cinquant'anni dopo Mattei, la folle rinuncia allo Stato imprenditore

Non so se ci avete mai fatto caso ma nel mondo anglosassone, dove è stato coniato, il termine radical indica sostanzialmente la sinistra estrema. Da noi i radicali sono un partito ostaggio di un vecchio bacucco, che dopo le meritorie battaglie degli anni settanta e ottanta, è impazzito, si è alleato con Berlusconi e gli ex missini e si è votato al capitalismo più sfrenato. Per non parlare del termine liberal, che negli Stati Uniti è un modo elegante per dare a qualcuno del comunista. Da noi, invece, quelli che attualmente si definiscono liberali sono di solito appecoronati sulle posizioni dei privati e hanno lentamente condotto una battaglia vincente per infondere nell'opinione della maggioranza (principalmente quindi coloro che un'opinione non ce l'hanno) la convinzione che tutto ciò che è pubblico è merda e che andrebbe privatizzata anche l'aria.
Un delitto. Il vero delitto. Perché in questo modo si fa fuori l'unica vera possibilità di sviluppo e di rilancio dell'economia con criteri di equità.
In questi giorni ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, scomparso il 27 ottobre del 1962 precipitando con il suo aereo privato nelle campagne di Bascapè, in provincia di Pavia. Un "incidente" da sempre considerato sospetto e nel 2005, dopo la riesumazione del cadavere e le nuove indagini chimiche rese possibili dalla tecnologia, definitivamente classificato come attentato. Mattei si era fatto moltissimi nemici da quando nel 1947 invece di liquidare l'Agip, azienda fondata dal fascismo, ne aveva fatto la base per la creazione di un colosso energetico, l'Eni, in un paese sostanzialmente privo di risorse di quel tipo. Democristiano assai atipico, di stampo decisamente più liberal (lui sì), Mattei era fermamente convinto della necessità della presenza dello Stato nell'economia, perché solo lo Stato può essere l'imprenditore che non è animato esclusivamente dal profitto e, nel caso, i soldi li reinveste per garantire lo sviluppo e non se li porta alle Cayman. 
La sua Eni fu uno dei traini fondamentali del boom economico italiano e nel giro di pochi anni i veri potenti (la Cia, la mafia, le sette sorelle, perfino l'Oas francese che gli contestava l'appoggio al Fronte di liberazione algerino) diventarono suoi avversari dichiarati. Questa gente a un certo punto non te la manda più a dire e ti elimina. Come fece con lui, con un carica di esplosivo piazzata sul jet all'aeroporto di Palermo, che si innescò durante il suo viaggio di ritorno dalla Sicilia, dove era stato scoperto da poco un imponente giacimento di metano.
La storia di questi cinquant'anni è nota. 
L'Eni è rimasto un colosso dell'industria italiana, ma è diventato oggetto di spartizione politica, passando dalla Dc alle grinfie del Psi craxiano, e annoverando alla sua guida personaggi discutibili e spesso coinvolti in procedimenti giudiziari. Paradossalmente all'epoca di Mattei a scagliarsi contro il "carrozzone di Stato" erano le sinistre, oggi se provate a dire che ci vuole la mano pubblica vi danno come minimo del comunista.
Oggi i "liberali" sono le banche, le istituzioni finanziarie, i fondi di investimento senza controllo, il mercato energetico in mano alle multinazionali e ad una manciata di sceicchi corrotti e dittatori, le aziende come la Fiat, che "pubblicizzano" le perdite e privatizzano i profitti da decenni, i grandi evasori fiscali, i manager della Bocconi. Per ironia della sorte, il paese si trova in una fase analoga a quella del dopoguerra, dove non esistono una vera concorrenza, né un vero mercato, ma solo oligarchie e cartelli, dove è stata quasi del tutto cancellata la produzione e dove prevale l'arretratezza tecnologica a infrastrutturale al punto da avvicinarci ai paesi del terzo mondo (che non si dice più ma ci siamo capiti).
Solo che oggi non c'è un Mattei, né un'Agip da cui ripartire. E la sinistra si impicca nel suo dialogo con la finanza e con gli imprenditori che fanno rientrare in Italia i capitali grazie agli scudi fiscali.

giovedì 25 ottobre 2012

Addio Silvio, l'incantatore di massaie del 4X2 alla Standa

La prima volta che mi ci sono trovato di fronte era su per giù il 1990. L'ometto, già proprietario di tre televisioni grazie ai suoi legami con l'astro politico del periodo, quel Bettino Craxi che di lì a poco sarebbe stato travolto da Tangentopoli, aveva acquistato due anni prima la Standa, pagandola mille miliardi di lire alla Ferruzzi-Montedison. Nonostante il marchio, allora conosciutissimo, la catena di negozi distribuiti in tutto il paese registrava pesanti perdite di gestione e la cifra pagata da Silvio a Raul Gardini sembrò a tutti una follia.
Invece faceva parte di un piano strategico di occupazione del territorio e di rincoglionimento delle masse (e soprattutto delle massaie), partito con lo tsunami di telenovelas e quiz televisivi con il quale aveva inondato i palinsesti delle sue emittenti. In quei giorni era al centro dell'attenzione grazie a una campagna molto aggressiva che prometteva nei suoi supermercati il 4x2 (paghi due, prendi quattro) che era stata oggetto di un'indagine delle neonata antitrust per violazione delle leggi sulla concorrenza la quale aveva imposto l'alt alla promozione. In occasione di un'assemblea di Confindustria, nel parterre dell'auditorium di viale dell'Astronomia, noi umili cronisti lo avvicinammo per chiedergli un commento sulla questione. Lui, che già allora sembrava un gangster da film di Coppola, sfoderò un sorriso a tutta dentatura e ci rispose più o meno: "Anche io sono rimasto sorpreso di questa fantastica offerta promozionale, al punto che ho detto subito a mia moglie di andare a fare la spesa alla Standa. Il 4x2 non si può fare? Faremo il 3x2, peccato per le donne italiane che devono fare la spesa".
Ricordo che ci guardammo in faccia trattenendo a stento le risate e che fra di noi commentammo in seguito: "Ma questo è un coglione!". 
La stessa idea che avevo di lui quando a fine 1993 decise di dichiarare il suo appoggio a Fini nella campagna a sindaco di Roma, e quando pochi mesi dopo annunciò l'idea di fondare un partito. Chi mai avrebbe votato per un simile pagliaccio per giunta odioso miliardario?
Nel gennaio del 1994 parto per un vacanza nella mia isola lontana, la Giamaica (l'avatar di questo blog fra l'altro è una foto che risale proprio a quel viaggio fra i tanti che vi ho fatto prima e dopo) e per oltre tre settimane resto senza leggere i giornali venendo a conoscenza solo per caso che le elezioni erano state fissate per il 27 e 28 marzo. A metà febbraio ritorno a casa passando per Miami, dove trovo una copia di Repubblica. Non dimenticherò mai il titolo: "Berlusconi in testa ai sondaggi". Per me fu un vero shock.
Non potevo immaginare che fosse l'inizio di 18 anni di devastazione, che hanno lasciato un paese ridotto in macerie, cancellando ogni esperienza politica, ogni idea, corrompendo ogni politico e ogni partito, fino al punto che qualcuno avrebbe rimpianto la Prima Repubblica.
Ognuno c'ha il suo ricordo personale di Silvio, oggi che l'incubo sembra decisamente volto al termine (ma sarà vero?). Questo è il mio e ancora mi pento di aver sottovalutato il pericolo, che il mio povero papà (un vero liberale, che difendeva a spada tratta la presenza dello Stato nell'economia e nell'informazione, non come questi quattro accattoni di oggi) aveva invece già intuito fin dai primissimi anni ottanta con l'avvento delle tv private.
Di fronte al disastro in cui versiamo sembra anche inutile esultare. Solo recitare il doveroso mea culpa per non aver capito in anticipo la portata del dramma.

martedì 18 settembre 2012

Dove fuggirà Marchionne se neanche in Serbia produce macchine competitive sul mercato?

Per credere alla favola di "Fabbrica Italia" raccontata dal manager col maglioncino, Sergio Marchionne, un paio di anni fa bisognava essere molto ingenui, come forse è stato qualche sindacalista, o molto in malafede come sicuramente erano tutti gli esponenti politici che ne tessevano le lodi, soprattutto quelli del Pd (un po' tutti, da Fassino a Renzi, da D'Alema a Chiamparino). Perché già due anni fa era chiaro a tutti che la Fiat dall'Italia se ne sarebbe lentamente andata, a cercare fortuna altrove, scommettendo su Stati Uniti e paesi dell'ex terzo mondo in ascesa, come il Brasile. 
Oggi, che cala il sipario sui quei venti miliardi di investimenti promessi (e per abboccare bisognava proprio assomigliare al turista americano al quale Totò vende la Fontana di Trevi) fa rabbividire il confronto in edicola fra la Repubblica, che fa parlare il manager (l'unica notizia che ci dà è che non compra più le Tod's dopo che Della Valle gli ha fatto il contropelo) e il Fatto Quotidiano che ci racconta dove andrà a finire la produzione Fiat (in Serbia, dove pagano gli operai 350 euro al mese per 40 ore di lavoro settimanali più un po' di straordinari gratis se lo chiede il capo). 
Il bello è che in Serbia per ora producono solo la 500 L e non riescono a venderla a meno di 14.500 euro, mentre uno dei loro competitor (oh yeah) come la Citroen C3 è ormai scesa sotto i 10 mila. 
Ecco, sono questi i manager in Italia.

lunedì 17 settembre 2012

Daje de tacco, daje de punta... la Polverini resta a galla come la sòra Assunta

E' il grande successo del federalismo, che da noi ovviamente non assomiglia all'organizzazione dei lander tedeschi, ma a una specie di ridicola esibizione dei propri campanili e delle proprie ignoranze. E così, dopo la incredibile sequela di arresti, accuse, denunce che hanno fatto della Lombardia la regione più indagata d'Italia, grazie anche al prezioso contributo del Pd e del suo campione Filippo Penati, ecco farsi avanti con orgoglio il Lazio, che dopo i trionfi elettorali della destra burina, fra Anagni, Rieti e Frosinone e tutta la loro paccottaglia di finta socialità, annega nel tragicomico, con l'ex attacchino obeso del Msi che diventa manovratore di ingenti somme, con le quali paga pranzi e cene a porci e cani, salvo poi venire scaricato alla grande.
In puro stile italico, manco a dirlo, nessuno pensa nemmeno a dimettersi. Dopo Formigoni che nega pure l'evidenza e va all'attacco minacciando querele ai giornali che raccontano le sue vacanze da sogno a bordo degli yacht messi a disposizione da chi beneficiava dei provvedimenti della giunta, ecco Renata Polverini, che abbigliata come un gelataio fuori stagione adotta un  profilo diverso e chiede scusa, come se fosse un passante qualunque e non il capo della banda.
Il lessico? A metà fra l'arroganza qualunquista di un Alberto Sordi e la coattaggine delle due ragazzine di Ostia, quelle de "er calippo e la bìra". Sguaiata e patetica, come tutti gli ex missini della capitale, dalla ministra dei ggggiovani, Giorgia Meloni, a Rampelli, passando per Storace, Gasparri e il sindaco Alemanno
Si è chiuso un altro ciclo, come al solito in farsa.

martedì 4 settembre 2012

Il cardinal Martini, più gesuita che rivoluzionario

Il fatto che tante persone abbiano reso omaggio al cardinal Carlo Maria Martini è sicuramente positivo, anche se ai suoi funerali in prima linea c'erano i potenti mentre la gente comune resta come al solito fuori dal sagrato. Le sue posizioni in contrasto con i dettami oscurantisti e ufficiali del Vaticano erano note a tutti, fino all'ultima intervista sul Corriere della Sera nella quale ha sostenuto apertamente che la Chiesa cattolica è "indietro di 200 anni". Ma quest'aurea di Che Guevara che vorrebbe cucirgli addosso qualcuno è francamente ingiustificata.
Analizzando fino in fondo le cose dette da quest'uomo gentile e pacato, non si può non notare che sono comunque ben poca roba rispetto a quelle che dovrebbero essere le legittime ambizioni di una società moderna. Tanto per citare alcuni aspetti più interessanti, andrebbe ricordato che sulle unioni gay aveva la stessa posizione dei cattolici alla Rosy Bindi, quella del sì alle unioni civili e del no ai matrimoni (molto pilatesca, visto che in Italia le unioni civili non portano agli stessi diritti delle coppie sposate, che poi è quello il nodo del problema). Come tutti i preti poi aveva l'ossessione per il sesso, per cui approvava la coppia gay solo nel caso di "amicizia duratura e fedele tra due persone" (di trombare ovviamente non se ne parla). 
Nel caso del preservativo, come difesa dalle malattie, disse che "certamente l'uso del profilattico può costituire, in certe situazioni, un male minore" (un male????), ma ovviamente non lo aveva sdoganato come semplice mezzo anticoncezionale per una sessualità consapevole. E come ricorda oggi Massimo Fini su il Fatto, il nostro cardinale è diventato vescovo di Milano nel 1979 e solo 13 anni dopo, in piena Tangentopoli ormai conclamata, denunciò il malaffare e la corruzione che imperversavano nella sua diocesi, dove era frequentemente a contatto con politici e amministratori che procedevano al saccheggio della città senza aver mai battuto ciglio prima dell'arrivo del pool di Mani Pulite.
Colto, non assetato di sangue come la gran parte dei suoi simili, non accecato dal furore ideologico che contraddistingue i cattolici oltranzisti, probabilmente anche emarginato per questo, ma alla fine era solo un gesuita, non certo un rivoluzionario. E a differenza di tanti poveri cristi come Piergiorgio Welby ha potuto evitare ogni accanimento terapeutico.