martedì 9 agosto 2011

Il caso San Patrignano: la droga è sempre un affare. Soprattutto proibirla.

"Ci vorrebbe un'overdose... due grammi d'eroina e un po' di stricnina... bisogna operare come con i guanti del chirurgo. Oppure bisognerebbe sparargli con una pistola sporca". Il fondatore di San Patrignano, Vincenzo Muccioli, si sarà costruito anche un'aurea di santità, grazie al fatto di aver guarito (?) qualche rampollo di buona famiglia con il vizietto della pera negli anni settanta, ma alla fine era solo un ex venditore di polizze appassionato di sedute spiritiche, che nel nome della riabilitazione ha messo su un impero. E quando l'apparato cominciò a scricchiolare sotto le accuse degli ex ospiti di maltrattamenti coercitivi senza alcuna pietà, non esitò a usare parole simili riferendosi a un possibile scomodo testimone. 
La droga è sempre un grande affare. Ma la lotta alla droga lo è ancora di più. E Muccioli, invischiato e condannato in processi per maltrattamenti e abusi di soldi ne ha fatti parecchi.
La sua comunità è diventata una macchina che fattura 30 milioni, tra i proventi dell'attività agricola commerciale (che ovviamente utilizza la manodopera dei tossici sulla via del recupero), le donazioni delle famiglie ricche e i soliti, generosi, conti pubblici. E' tutto nelle mani dei Moratti, l'ex sindaco di Milano Letizia e il marito (i genitori di Batman, per intenderci), che adesso hanno fatto fuori dalla torta il figlio di Muccioli, Andrea. Pare che dietro ci sia la scoperta di 20 milioni di buco di bilancio e, come scrive oggi Il Fatto Quotidiano, una bella storia di eccessi e lussi principeschi. 
Muccioli, tanto perché la memoria non è solo un vizio, fu assolto in Appello da una prima accusa di abusi, perché qualche giudice impressionato dall'enorme battage pubblicitario della destra dell'epoca, che come oggi ai tempi dei vari Fini-Gasparri-Giovanardi (pensate alle loro facce messe una vicino all'altra e vi verrà per forza voglia di sparararvi un cannone)  indicava nella droga il nemico numero uno dei ggggiovani, gli riconobbe una sorta di diritto putativo nei confronti dei poveracci rinchiusi lì dentro. Un po' come dire, li poteva menare e incatenare perché era come un padre per loro. Ma nel 1994 è stato condannato a otto mesi di carcere per favoreggiamento per l’assassinio di Roberto Maranzano, ospite della comunità ammazzato come un cane. Muccioli fu assolto dall’accusa di omicidio colposo, ma dopo la sua morte (avvenuta nel 1995 a detta di molti a causa dell'Aids che aveva contratto da rapporti sessuali non protetti con qualche bella tossica di Sanpa),  la Corte di Cassazione sancì che fu un errore processare Muccioli per omicidio colposo e che, se fosse stato in vita, avrebbe dovuto essere giudicato di nuovo per la morte di Maranzano con la più grave accusa di maltrattamenti seguiti da morte.
Tramonta così, all'italiana, la parabola del simbolo del proibizionismo che negli anni d'oro, in cui Craxi faceva scrivere una legge assurda a Giuliano Vassalli (un fine giurista che verrà ricordato soprattutto per essere stato l'amante di Sandra Milo) e Rosa Russo Jervolino (non passò, ma nella bozza si prevedeva anche il ricovero coatto in comunità per chi veniva sopreso a farsi le canne, lo giuro), fu in prima fila a sostenere la lobby dei vari don Gelmini e fricchettoni della comunità Saman. La legalizzazione e la riduzione del danno non erano per niente un buon affare.

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