venerdì 27 gennaio 2012

La banda del Vaticano e il monsignore onesto

La banda della Magliana dei bei tempi e il clan dei Casamonica di oggi non riusciranno mai a emulare la millenaria storia di intrighi che da sempre è il pane quotidiano della nostra beneamata Chiesa. Mettete un prete, monsignor Carlo Maria Viganò, arcivescovo, alla guida dell’ente che controlla le gare e gli appalti del Vaticano. Mettete che quello, magari un po' ingenuo, si scopra tuttavia sorprendentemente onesto. E mettete anche che scriva tutto nero su bianco raccontando gli sprechi e le spese folli di una gestione che verrebbe giudicata eccessiva anche  dai peggiori dissipatori di denaro pubblico (perché quello delle casse del Vaticano tale è). Cosa pensate che gli possa succedere? Arriva il papa tedesco e lo trasferisce a Washington. 

La notizia la tira fuori una tramissione di La7, Gli Intoccabili, condotta da Gianluigi Nuzzi, nella quale viene citata una lettera al papa, del marzo 2011, attribuita a monsignor Viganò, all’epoca segretario generale del Governatorato vaticano, in cui il prelato denunciava il malaffare, i prezzi gonfiati, la “corruzione” in appalti e forniture. Affidati sempre alle stesse ditte, a costi raddoppiati e senza trasparenza nella gestione. Nella lettera è citato il “comitato finanza e gestione” creato per porre rimedio alla grave situazione finanziaria del Governatorato, comitato “composto da alcuni grandi banchieri, i quali sono risultati fare più il loro interesse che i nostri”. E si parla di una sola operazione finanziaria che, nel dicembre 2009, avrebbe mandato in fumo due milioni e mezzo di dollari. Come membri del comitato, la trasmissione di Nuzzi ha chiamato in causa i banchieri Pellegrino Capaldo, Carlo Fratta Pasini, Ettore Gotti Tedeschi e Massimo Ponzellini.
Apriti cielo, è proprio il caso di dire. Padre Federico Lombardi, portavoce vaticano, annuncia querele negando che  gli organismi della Santa sede siano “caratterizzati in profondità da liti, divisioni e lotte di interessi” (figuriamoci, e quando mai) e il trasferimento di monsignor Viganò alla Nunziatura di Washington “è prova di indubitabile stima e fiducia da parte del Papa" (peccato che il monsignore avesse espressamente chiesto di non essere spedito oltreoceano).

Oggi torna sulla storia il Fatto Quotidiano, pubblicando una lettera inviata da Viganò al segretario di Stato vaticano, monsignor Tarcisio Bertone, nella quale si scoperchia il vaso di Pandora: furti nelle ville pontificie coperti dal direttore dei Musei Vaticani,  fatture contraffatte all’Università Lateranense a conoscenza addirittura del presidente del Pontificio Consiglio per l’evangelizzazione, gli interessi di un monsignore in una società che fa affari con il Vaticano ed è inadempiente per 2,2 milioni di euro, ammanchi per centinaia di migliaia di euro all’Apsa (organismo che si occupa del patrimonio della Santa Sede) e frodi all’Osservatore Romano. L’arcivescovo onesto aveva trovato nel 2009 una perdita di 8 milioni di euro e aveva lasciato al Governatorato nel 2010 un guadagno di 22 milioni (34 milioni secondo altri calcoli). Questo non gli è servito a evitare una dura campagna diffamatoria contro di lui passata anche attraverso le pagine del Giornale e il trasferimento nella capitale americana.
Tiè, mandace 'na cartolina

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