giovedì 24 febbraio 2011

Come ti incastro il negro famoso: il giamaicano Buju Banton condannato per droga In Florida. Rischia 15 anni.

E' finita male, come spesso accade agli eroi di quell'isola bellissima e tormentata, la parabola di Buju Banton, probabilmente il cantante reggae più famoso e apprezzato dopo Bob Marley, condannato in Florida per una vicenda di droga. Una storia emblematica di come il sistema giudiziario americano ancora si muova in perfetta sintonia schiavista, quando si tratta di mettere con le spalle al muro una qualsivoglia minoranza etnica.  
Mark Myrie, questo il nome del musicista, è stato completamente incastrato da un informatore della polizia, un prezzolato ex trafficante di droga, stipendiato dalla Dea in base al numero degli spacciatori che riesce a far arrestare. Il tizio, Alexander Johnson, ha conosciuto Buju su un volo da Madrid a Miami e gli ha proposto l'acquisto di un'ingente quantità di cocaina (cinque chili) a scopo di spaccio. Una volta in Florida, è riuscito a filmare il giamaicano mentre assaggia la droga e discute dell'affare. Poi però la cocaina viene comprata da altre due persone e quando scatta la trappola il cantante non c'è. Lo arrestano a casa sua, dove non trovano nulla, nel dicembre del 2009 e lo tengono in cella fino a settembre, negandogli a più riprese la libertà su cauzione. 
Durante il primo processo, l'agente della Dea che ha seguito le indagini, Daniel McCaffrey, ammette di non avere prove della colpevolezza del cantante, malgrado quasi un anno di indagini, e che l'azione legale nei suoi confronti è avvenuta solo in base alla testimonianza dell'informatore, il quale avrebbe ricevuto dal governo americano almeno 50 mila dollari per aver "incastrato" un nome importante. La giuria non riesce a raggiungere un verdetto unanime e il processo va rifatto da capo.
Nel frattempo, Banton esce dal carcere su cauzione (250 mila dollari, più l'obbligo di restare a casa e indossare il braccialetto elettronico) e il mese scorso i giudici gli consentono anche di fare un concerto, a Miami, al quale partecipano decina di migliaia di persone. 
Ieri, una giuria del tribunale di Tampa lo ha riconosciuto colpevole di traffico di droga e perfino di possesso illegale di armi, nonostante non gli sia stata sequestrata neanche una fionda. Ora rischia fino a 15 anni di carcere, dove è già stato nuovamente rinchiuso, mentre gli avvocati stanno tentando un difficile ricorso in appello. La sua unica speranza di evitare la galera è una possibile "deportazione" in Giamaica. Non potrà mai più mettere piede negli Usa, ma siccome gode di una notevole fama anche in Europa, sarebbe in grado di continuare la sua carriera di artista internazionale.
Vincitore di diversi Grammy Award, da anni è finito nel mirino delle associazioni che difendono i diritti dei gay (assai potenti negli Stati Uniti) per una canzone risalente al 1988, quando Mark Myrie aveva solo 15 anni, intitolata "Boom bye bye", omofobica al punto di predicare il tiro al bersaglio contro i "batty bwoys". Quando nel 1995 convertitosi al rastafarianesimo diede alle stampe "Til Shiloh" (probabilmente il suo disco più bello), quella canzone sembrava non ricordarsela nessuno, neanche in Giamaica dove la gente preferiva cantare in coro la sua "Untold Stories", un brano di forte denuncia sociale.
Poi improvvisamente qualcuno ha ritirato fuori quel brano e ci ha montato sopra un caso mediatico un po' insulso, traducendo alla lettera quelle che erano solo spacconate tipiche dei giamaicani. La loro antipatia verso l'omosessualità è (purtroppo) ben nota. Lo stesso Marley, icona del fricchettonismo più spinto, la considerava immorale. Si potrebbe stare delle ore a parlare del problema, ma è riduttivo cercare sempre di interpretare tutto secondo i propri metri di giudizio. Qualcuno dovrebbe capire che è stupido farsi crescere i dreadlocks, inneggiare a Rastafari, e poi stupirsi perché una filosofia religiosa, come tutte le altre, esprime concetti irritanti per le minoranze. 
Oggi il Jamaica Observer traccia un paragone fra Buju Banton e uno degli eroi nazionali della Giamaica, Sir William Alexander Bustamante, fondatore del primo sindacato, attivista per i diritti dei lavoratori e infine a capo del governo nei primi anni dell'indipendenza dalla Gran Bretagna. Un uomo estremamente popolare fra i suoi connazionali, ma per gli stessi motivi guardato con diffidenza dagli americani, sempre ansiosi di tenere bene ancorati i loro artigli sul vicinato. La popolarità, scrive un editorialista del giornale, "non conta nulla se gli americani pensano anche solo lontanamente che sei colpevole di un crimine o decidono di vendicarsi per l'affronto fatto nei confronti delle potenti associazioni dei gay. Credo che Bob Marley e Peter Tosh avessero imparato la lezione, perché non hanno mai cantato quel genere di canzoni". 
Una bravata da cazzoni, quella commessa dal cantante, ma pagata cara per il colore della sua pelle, per una vecchia canzone e per l'antipatia che soprattutto i cittadini bianchi della Florida hanno nei confronti dei giamaicani, quei negri chiassosi, volgari e drogati.


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